I gesti e le parole sono vitali in politica, specialmente quando non si può contare su un’ampia evoluzione e su una storia che potrebbe avvallare e dare una certa spiegazione a piccole inconsistenze, alla mancanza di esperienza, a dichiarazioni imprudenti, a qualche errore commesso qua e là. Forse, e questo è ciò che ci si augura, tra le nebbie del dubbio e la preoccupazione, è ciò che ci resta della recente visita del presidente Fernando Lugo in Venezuela. I suoi gesti e le sue dichiarazioni sembravano tristemente far parte della liturgia neopopulista di Hugo Chávez, e lo hanno fatto apparire, nonostante la sua volontà, una sorta di cappellano del comandante venezuelano, la cui “rivoluzione bolivariana” ha ora il suo teologo.
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Fissiamo la nostra attenzione semplicemente su alcuni fatti. In primo luogo, Lugo parte per visitare paesi con governi neopopulisti e democrazie inorganiche, tra cui il Venezuela svolge un ruolo egemonico. A cosa mi riferisco quando parlo di governi neopopulisti e democrazie inorganiche? I primi sono sistemi dove lo Stato riceve grandi introiti da prodotti naturali non rinnovabili – il petrolio, per esempio – creando una “distribuzione” di denaro per i suoi clienti-cittadini o clienti-paesi “amici”. Si tratta di nazioni senza una strategia di crescita, dove il dolce denaro del “caudillo” alimenta una ragnatela di relazioni clientelari. Si noti che non resta nemmeno l’ombra dei vecchi populismi industrializzatori, da Vargas a Velazco Alvarado. Né si può parlare di produzione o di economia di mercato di successo, che sarebbero l’anatema, il nemico, la malvagità intrinseca dei venduti all’“impero”, o meglio agli “imperi”.
Questo neopopulismo è, inoltre, inorganico, perché si sostiene grazie a una concezione del diritto, dove la legge, la Costituzione, si “attualizzano” conformemente alle “rivelazioni” e agli orientamenti messianici del “caudillo”. Per questo il neopopulismo inorganico ha bisogno che la Costituzione si adegui a lui. Non il contrario. Non è Stato di diritto: è volontà, legalizzata, del capo. In questo rientrano gli esempi di Morales e Correa che provano a cambiare le Costituzioni, seguendo la musica dettata dalla bacchetta di Chávez. A meno che – certamente – il popolo non si opponga o richieda autonomie.
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Ma ogni popolo è sovrano, mi si dirà, padrone delle proprie azioni. Certamente. E va più che bene. In questo consiste il gioco delle relazioni, degli andirivieni della politica internazionale. Pur con qualche dubbio, può essere questo il caso quando a questo gioco politico, come nella vicenda paraguaiana (senza necessità, almeno apparente), si partecipa “dando una mano”, “imbiancando” teologicamente questo sistema di relazioni clientelari.
È che argomentare, come apparentemente ha fatto Lugo invocando la sua autorità di teologo, che la rivoluzione venezuelana sarebbe una modalità della venuta del regno di Dio, pur dicendo “che è già e non ancora”, è più che preoccupante.
Il fatto che la rivoluzione, come ha continuato a spiegare, “è cominciata, ma non è arrivata alla sua pienezza”, e che il suo fine, la grande sfida, è costruire un regno che “non è per dopo la morte”, implica, temo, l’estasi ideologica: cercate il potere di Stato e tutto il resto vi sarà dato di conseguenza. Questo è più che problematico: il tono sacralizzante, clericale, messianico che imbeve l’ordine democratico-politico cosa comunica? Il regno che aspettiamo è la democrazia, oppure il regno si mischia con la democrazia? Il sacro è il chavismo, un ultimo stadio della fraternità universale, o forse è il bolivarismo nonostante, direi, lo stesso Bolivar?
Ma se le cose stanno così, cosa succederà quando questo “regno” non risponderà – come tutto il sistema politico – alle aspettative? La democrazia non è sacra e la politica non è la salvezza. Non accorgersi che il chavismo utilizza un discorso messianico-religioso vuol dire peccare già di ingenuità diplomatica. Lo stesso Cardinale e arcivescovo di Caracas ha messo in guardia su questo utilizzo degli atti liturgici. A meno che non la si pensi allo stesso modo, qual è il modello che porterà avanti il nuovo governo? Il fatto è che Chávez non è la Bachelet, Correa non è Lula e Morales non è Tabarè, sebbene si assomiglino. Credo che tanto la cilena, come il brasiliano e l’uruguagio, hanno imparato che i paesi hanno governi con interessi, non amicizie istrioniche incondizionate. Questa è l’unica posizione seria che un governo repubblicano e democratico dovrebbe adottare. Il resto è semplice clientelismo a livello internazionale.
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