Recentemente, la pubblicazione del volume di Robert Kagan Il ritorno della storia e la fine dei sogni ha reso evidente la nuova peculiare attenzione rivolta dagli analisti statunitensi alla situazione interna della Russia e alla sua politica estera. Da tempo, soprattutto presso i think tank di area conservatrice, il nuovo regime instaurato da Putin è interpretato come un serio pericolo per la stabilità dell’equilibrio politico internazionale. Leon Aron, editor della Russian Outlook edita dall’American Enterprise Institute, è giunto a denunciare l’emergere in Russia di una peculiare istituzione politica, il “putinismo”, in cui l’analista ravvisa tratti di neo-fascismo quali il culto della personalità, la propaganda patriottica e il forte elemento nazionalistico. A preoccupare Aron sono soprattutto la connessione aprioristica dell’elemento identitario russo con un certo grado di ostilità all’Occidente e l’identificazione degli avversari politici (interni ed esteri) del regime come “nemici della patria”, probabile retaggio del precedente regime.
Secondo Kagan, lo scenario mondiale che si profila nel prossimo futuro è quello di una sempre più netta contrapposizione tra i regimi autoritari, tra i quali lo studioso annovera Cina e Russia, e le democrazie di stampo occidentale. Kagan descrive in particolare la Shanghai Cooperation Organization, di cui Pechino e Mosca sono già membri e a cui Teheran vuole partecipare, come una riedizione del vecchio Patto di Varsavia, con un potenziale politico-economico e finanche militare persino maggiore dell’alleanza incentrata sull’Unione Sovietica. La tendenza delle prime a stringere alleanze tra loro, coprendo il perseguimento dei reciproci interessi nonostante gli strumenti e i metodi non sempre legittimi che vengono di volta in volta utilizzati, dovrebbe indurre le seconde a rafforzare i propri legami per creare un fronte compatto a difesa e sostegno della democrazia. Di qui, l’esigenza di creare una “Lega delle democrazie” che riunisca non solo America e stati europei ma anche paesi come Giappone, India e Australia. Una Lega che preveda riunioni periodiche per consultarsi reciprocamente e collaborare allo sviluppo di una linea coerente di politica estera, al di là degli esistenti rapporti di natura economica. La “Lega delle Democrazie” si affiancherebbe agli organi attualmente esistenti (dalla Nato al G8) senza sostituirli, ma svolgendo un ruolo politico che l’ONU, bloccato dalle potenze autoritarie, non può più svolgere, e che la NATO difficilmente può condurre su scala mondiale.
Il candidato del partito repubblicano, John McCain (del quale Kagan è uno dei più stretti collaboratori), ha appoggiato esplicitamente l’idea di una Lega delle democrazie in più d’una occasione. In particolare, nel suo discorso del 26 marzo 2008 al World Affair Council di Los Angeles, McCain ha parlato della necessità di far fronte alla minaccia nucleare e tecnologica rappresentata dalla rinnovata potenza russa, e nel successivo discorso rivolto alla Hoover Institution ha precisato che la Russia appariva sempre più come un’«autocrazia del XIX secolo, segnata dalla riduzione delle libertà politiche, da intrighi nell’ombra e da misteriosi assassinii. Oltre i suoi confini Mosca ha tentato di espandere la propria influenza sui propri vicini nell’Europa orientale, centrale e persino occidentale. Mentre la più democratica Russia degli anni Novanta puntava ad approfondire i propri legami con l’Europa e l’America, oggi una Mosca più autoritaria manipola la dipendenza dell’Europa dal petrolio e dal gas russi per ottenere silenzio e obbedienza, e per cercare di porre un cuneo tra Europa e Stati Uniti. Il governo russo è persino più brutale verso le giovani democrazie alla sua periferia, minacciandole con embarghi commerciali e peggio se muovono troppo incontro all’Occidente. Sostiene i movimenti separatisti in Georgia e in Moldavia ed è intervenuto apertamente nelle elezioni presidenziali in Ucraina. E sta fornendo armi a Iran, Siria e indirettamente a Hezbollah».
Al termine della propria requisitoria, McCain giungeva dunque a proporre una nuova Lega delle democrazie, che possa intervenire laddove l’ONU fallisce, come in Darfur; che possa «far pressione sui tiranni in Birmania e in Zimbabwe, con o senza l’approvazione di Mosca e Pechino», che possa imporre sanzioni all’Iran, e che possa procurare sostegno alle democrazie contrastate in Ucraina e Serbia. Un programma dai tratti decisamente anti-russi, dunque, fondato su una visione del mondo improntata a una netta separazione tra quello che potremmo definire come un nuovo “asse del male”, in cui risultano inserite tutte le nazioni autoritarie, contrapposto a un’alleanza delle democrazie che superi un ONU onnicomprensivo e dunque inservibile. La Lega delle democrazie, precisa McCain nello stesso discorso alla Hoover Institution (in cui si impegna a muovere i primi passi per la fondazione dell’organismo entro il primo anno successivo alla sua elezione), «non soppianterebbe l’ONU o le alte organizzazioni internazionali. Verrebbe affiancata a esse. Ma sarebbe la sola (the one) organizzazione in cui le democrazie del mondo si radunerebbero insieme per discutere dei problemi e delle soluzioni sulla base di principi condivisi e di una visione comune del futuro».
Una visione per certi aspetti antitetica a quella sostenuta da altri commentatori, altrettanto critici dell’autoritarismo impostosi in Russia durante la presidenza di Vladimir Putin e che sembra destinato a proseguire con il suo successore. Soprattutto in area liberal sono in molti a rimproverare a Kagan (e a McCain) una visione improntata a eccessivo idealismo, incline a distinzioni nazionaliste troppo accentuate e un interventismo che invece andrebbe sottoposto al controllo di un rinnovato multilateralismo in grado di superare le contrapposizioni che hanno sin qui caratterizzato lo scenario globale. Il candidato del partito democratico, Barack Obama, sembra prediligere questa opzione, sostenendo la necessità di una rinnovata «cooperazione attiva» con la Russia per il disarmo e per il raggiungimento di interessi comuni (tra i quali anch’egli pone l’impedimento dell’armamento nucleare dell’Iran), ma dichiara al contempo che «non dovremo diminuire i nostri sforzi per favorire una maggiore democrazia e affidabilità della Russia» (Barack Obama, Yes We Can, Roma, Donzelli, 2007, p. 42).
Diverse soluzioni per una medesima analisi, dunque, più o meno esplicita, in cui l’esigenza di un rinnovato multilateralismo per la politica estera americana è chiamata a fare i conti con la realistica constatazione dell’esistenza di un deficit di democrazia nello Stato russo. Una peculiare dialettica tra autoritarismo e democrazia che costituirà un nodo nevralgico della politica estera americana, ma anche europea e russa, dei prossimi anni.
(Francesco Tanzilli)