«Attenzione utenti, questa nota contiene linguaggio offensivo», avvisava la Reuters nel trasmettere la notizia che Chávez dava 72 ore di tempo all’Ambasciatore degli Stati Uniti per lasciare il Venezuela. «Se ne vada al diavolo, yankee di m…!» ha esclamato, inalberato, in un atto di appoggio a Mario Silva, il suo candidato al governo di Carabobo.
Silva, proprio la notte precedente, in un programma della televisione di Stato, dove è frequente il linguaggio escatologico per offendere gli avversari, ha lasciato che si ascoltasse la registrazione di conversazioni nelle quali, a suo dire, alcuni militari cospiravano per assassinare Chávez. Quest’ultimo ha telefonato in trasmissione per confermare la cosa e minacciare un “contraccolpo demolitore”.
La magnitudo e l’urto del “contraccolpo” li ha spiegati al ritorno da Carabobo, davanti a un gruppo di simpatizzanti a Miraflores, manifestando la sua convinzione che un colpo di Stato o un genocidio avrebbero avuto effetti più devastanti rispetto al peggiore degli uragani. «I traditori conosceranno la furia incontrollabile del popolo che sostiene la rivoluzione, che è una rivoluzione armata, e questa volta Hugo Chávez non sarà così tollerante come ha mostrato l’11 aprile».
Ha fatto anche parecchi riferimenti alla Bolivia e ha annunciato: «Se Evo viene spodestato o ucciso, avrò luce verde per sostenere qualsiasi movimento armato per restituire il potere al popolo».
Gli Stati Uniti hanno risposto con l’espulsione dell’Ambasciatore venezuelano. Washington ha dichiarato che vuole mantenere buone relazioni con la regione, ma sostiene che Venezuela e Bolivia non lo vogliono. «Pertanto, il trattamento che si riserverà ad entrambi i paesi non sarà più lo stesso». Il giorno seguente, in un’intervista telefonica diffusa dalla televisione di Stato, Chávez, con tono sereno, ha detto che la sua decisione era «solamente un gesto diplomatico di solidarietà con la Bolivia», e che non doveva cambiare le relazioni energetiche e commerciali. L’esperto Ramón Espinasa, in uno studio sul settore petrolifero negli ultimi anni, dimostra che le esportazioni verso gli Stati Uniti sono scese, a metà del 2008, a 1.170.000 barili al giorno, che generano la quasi totalità degli introiti, dato che le vendite derivanti da accordi tra governi sono quasi tutte finanziate a lungo termine o sottoposte a meccanismi di “baratto”.
I portavoce dell’opposizione sono stati d’accordo nel condannare l’espulsione dell’Ambasciatore nordamericano e nel sottolineare che si trattava di un “circo” per togliere i riflettori dal chavismo. Sono state formulate, hanno detto, 29 denuncie di golpe, compresi attentati alla vita del presidente, e non ci sono stati arresti o sentenze per questi delitti.
L’alto comando militare ha dichiarato che c’era unità nella FAN (Fuerza Armada National). «Abbiamo un apparato di intelligence e controspionaggio molto efficace. Sappiamo delle denuncie, ma la verità è che i dettagli li conosciamo quando il Presidente li rende pubblici».
Secondo il quotidiano El Universal, Chávez sta ogni volta sempre più mettendosi nell’angolo a causa dei suoi errori, in un contesto di corruzione che si sta facendo percepire nella popolazione e di scontento per l’inefficacia dei programmi sociali e dei piani per i settori più poveri. «L’espulsione dell’Ambasciatore degli Stati Uniti è una manifestazione di disperazione davanti all’opinione internazionale e di fronte al Paese. Purtroppo questi errori hanno un costo che pagheremo tutti».
(Associazione Democracia y Desarrollo)