Un fine settimana di sangue ha segnato le vie di Teheran, dove decine di migliaia d’iraniani hanno sfidato l’ordine del Capo Supremo della Repubblica Iraniana, l’Ayatollah Kamenei, d’interrompere le manifestazioni di protesta contro i brogli elettorali. Secondo Il Capo Supremo lo scarto dei voti tra i due sfidanti, il nazionalista Presidente Ahmadinejad e il moderato Moussavi sarebbe stato di oltre undici milioni di voti. Questa dichiarazione, comunicata da Kamenei alla popolazione iraniana dall’Università di Teheran durante la rituale preghiera del venerdì, toglie ogni valore alla disponibilità a procedere a un riconteggio dei voti, sia pure parziale, e contraddice le informazioni sugli esiti reali del voto del 13 giugno trapelate dagli uffici informatici del Ministero degli Interni.
Il collaboratore del giornale inglese The Guardian, Saeed Kamali Dehghan, ha rivelato che secondo Mohammad Asgari, il responsabile del sistema informatico del Ministero degli Interni, attraverso l’utilizzo di un nuovo programma, il governo iraniano ha alterato il risultato di tutte le provincie. Dai dati che Asgari dice di aver visto risultava che Ahmadinejad sarebbe arrivato addirittura terzo, dietro Moussavi, vero vincitore con almeno 19 milioni di voti e l’ayatollah Karroubi, il più progressista di tutti i candidati. Vi sono quindi molti sospetti, come ha scritto mercoledì scorso Dehgan sul Guardian, sull’incidente stradale in cui Asgari è rimasto ucciso.
Sabato, il leader dell’opposizione Moussavi, scendendo in piazza con i manifestanti, ha chiesto ancora una volta che i risultati delle elezioni vengano annullati e ha invitato le migliaia di persone presenti a non farsi intimorire e a organizzare uno sciopero generale nel caso fosse imprigionato. “Andrò avanti fino al martirio” ha detto al megafono ai suoi sostenitori. Il fragile dialogo tra il Capo Supremo Kamenei e l’opposizione, coordinata dietro le quinte dall’ex Presidente Rafsanjani, su cui il popolo iraniano e la comunità internazionale riponeva le ultime speranze, sembra ormai definitivamente compromesso. Nella sola giornata di sabato gli scontri tra manifestanti e Basij, la feroce organizzazione paramilitare che prende ordini dalle Guardie della Rivoluzione meglio conosciute come Pasdaran, hanno provocato diciannove morti.
Domenica, sebbene la giornata a Teheran fosse iniziata con un’insolita calma e un senso di vuoto per le strade, altre migliaia di persone si sono radunate nel tardo pomeriggio in Piazza della Rivoluzione. Questa volta le vittime sono state dieci e sono poi avvenute centinaia di arresti, tra cui quelli del famoso giornalista dell’opposizione Mohammad Ghoocani e della figlia di Rafsanjani, l’attuale presidente dell’Assemblea degli Esperti, l’organismo che elegge il Capo Supremo. Sempre ieri è stata ordinata l’espulsione di Jon Leyne, corrispondente della BBC. È un fatto assai grave, visto che la BBC sta offrendo un prezioso servizio in lingua farsi ai tre milioni d’iraniani espatriati, soprattutto dopo la rivoluzione khomeinista, in Nord America, Europa, Turchia, Australia e in alcuni Stati del Golfo.
Secondo la televisione satellitare Al-Arabya, di fronte a questa ulteriore escalation di violenza non sono mancate però pronte contromisure da parte dell’opposizione, segno che i poteri forti della Repubblica islamica continuano ad essere tutto fuorché sotto controllo. L’influente Ayatollah dissidente Montazeri, assieme al Presidente del parlamento Larijani, ha invitato la popolazione a una grande manifestazione indetta per mercoledì e giovedì prossimo. Secondo molti esperti questa dichiarazione sarebbe un appello velato per dare il via all’atteso sciopero generale. Uno strumento questo che già paralizzò completamente il Paese durante la rivoluzione Khomeinista e che probabilmente rappresenta l’arma di maggior successo, poiché permette a molte persone, comprensibilmente terrorizzate dagli scontri di piazza, di aderire al movimento di protesta senza incorrere in gravi rischi. Gli Stati Uniti di fronte a questa situazione stanno cautamente alzando la guardia con le parole del Presidente Obama che ha descritto la reazione del governo iraniano come “violenta e ingiusta” ed ha ammonito che ciò che succede a Teheran” è sotto lo sguardo attento del mondo.
(Mattia Sorbi)