Licenziati quattro ministri. Così sta agendo il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad alla vigilia dell’annuncio del suo nuovo governo. Lo hanno riferito le agenzie di Teheran, secondo le quali Ahmadinejad ha fatto dimettere i ministri della Cultura, Mohammad-Hossein Saffar-Harandi, del Lavoro e Affari sociali, Mohammad Jahromi, della Sanità, Kamran Baqeri Lankarani e dell’Intelligence Gholam Hossein Mohseni Ejei.
Le cose non vanno affatto bene per il neo eletto (sarà vero?) presidente dell’Iran Ahmadinejad che proprio ieri ha incassato la sua prima sconfitta interna, costretto com’è stato a sollevare dall’incarico il suo consuocero, vicepresidente Esfandiar Rahim Mashaie.
La decisione era stata presa in seguito agli ammonimenti savonaroliani dell’ayatollah Ali Khamenei il quale aveva ordinato di licenziare Mashaie.
Sempre nella stessa giornata la guida suprema spirituale iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha lanciato un appello all’unità del Paese con richiesta ai diversi gruppi e alle differenti fazioni di accantonare le loro divergenze nell’ottica di lavorare insieme per far progredire l’Iran. «Dovreste lavorare tutti in modo fraterno per fare avanzare la nazione. Nessuno dovrebbe lanciare delle accuse senza fondamento. Dobbiamo lasciare da parte le nostre divergenze», ha rimarcato.
Mentre i leader dell’opposizione iraniana, sempre ieri si sono rivolti agli alti gradi del clero per chiedere l’immediata liberazione delle centinaia di persone arrestate dalle elezioni. «L’unica via d’uscita da questa situazione – riferiva il sito internet Ghalamnew – è rilasciare immediatamente i detenuti. Siamo molto preoccupati per la loro salute fisica e mentale». Il comunicato congiunto portava la forma dei candidati moderati sconfitti alle presidenziali e dall’ex presidente Mir Hossein Moussavi, da Mehdi Karroubi e dall’ex presidente riformista Mohammad Khatami.
Da parte loro, i Pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione) hanno minacciato di «colpire gli impianti nucleari israeliani» se lo Stato ebraico attaccherà l’Iran. È l’ennesima minaccia lanciata dal comandante in capo dell’elite delle forze armate iraniane, Mohammad Ali Jafari.
E non si ferma neanche la protesta per la legittimità della rielezione di Ahmadinejad. Ieri manifestazioni sono state indette in oltre 110 città in 60 Paesi del mondo. Ad Amsterdam, dove si sono radunate alcune migliaia di persone, era presente anche il premio Nobel per la pace, l’avvocato iraniano signora Shirin Ebadi.