Gli spari nella Chiesa copta, a Natale, hanno riportato in primo piano il problema della convivenza tra cristiani e musulmani nei paesi del vicino oriente. Ilsussidiario.net ha raggiunto Wael Farouq, Docente di Scienze Islamiche alla Facoltà Copto-Cattolica di Sakakini del Cairo, egiziano e musulmano, per porgli alcune domande sulla situazione che è venuta a crearsi in questi ultimi tempi in Egitto, tra cristiani e musulmani.
Professore, cosa sta succedendo in questi giorni?
Quest’ultimo incidente, con gli spari in Chiesa, è, nella sua gravità, un caso isolato. La reazione è stata forte perché è andato a inserirsi in un contesto di tensione che si trascina da circa due anni. Non parlerei però di un clima generale anti-cristiano. I cittadini cristiani chiedono semplicemente che venga applicata la legge. Il Governo, però, non sta dando risposte. Manca la volontà politica.
Dal punto di vista geografico vi sono zone precise dell’Egitto in cui si può ravvisare un particolare odio verso i cristiani?
Innanzitutto la devo correggere sul termine “odio”. Non userei questa parola perché è inappropriata. Ci sono tanti problemi di convivenza tra musulmani e cristiani, situazioni di disuguaglianza a discapito dei cristiani che sono per lo più provocate dal governo, il quale è inerte e non riconosce i dovuti diritti ai cristiani. Il singolo incidente di Natale apre diversi problemi, ma non voglio parlare di odio, anche perché milioni di cristiani e di musulmani vanno d’accordo. Se si ragiona, in astratto, tramite stereotipi, si parla di “cristiani” e “musulmani” come categorie e si commette un grave errore.
Quali sono più precisamente questi problemi di convivenza? Ha degli esempi?
Ad esempio, i cristiani incontrano ostacoli per costruire le proprie chiese; oppure ai cristiani di fatto si impedisce di occupare alcune posizioni nella società e nello stato. Tra i rettori e i presidi delle facoltà universitarie, nelle cariche più sensibili dello Stato, è impossibile trovare un cristiano. Questi sono solo alcuni esempi, ma contribuiscono a creare un sentimento di ingiustizia tra i cristiani, che si sentono vittime di una discriminazione di cui, tra l’altro, la maggior parte dei musulmani è consapevole e contraria.
C’è qualcuno che nella sfera pubblica riesce a farsi portavoce di questi sentimenti o è un malcontento che si diffonde soltanto tra la gente?
Il nostro governo parla molto di libertà di espressione, ma i media, la televisione e le moschee contribuiscono a creare un’atmosfera sempre peggiore. Anche le persone che pontificano dall’Università di Al-Azhar non sono aperte, non accettano l’altro, chi è diverso, e non contribuiscono certo a rasserenare il clima.
Facendo un confronto con il passato, anche recente, la situazione sta peggiorando?
Sì, sta peggiorando perché non si condivide più l’idea di fondo, una volta accettata da tutti, che siamo fratelli di un’unica nazione. Oggi tutto ciò suona come una presa in giro, come un discorso vuoto di un governo composto soltanto da musulmani. La verità è che gente rispettabile, fior di professori cristiani, non possono intervenire sui giornali per esprimere le proprie opinioni. Ma questa non è una questione religiosa, è solamente politica.
Crede che l’Europa possa fare qualcosa o è un problema che l’Egitto deve risolvere da solo?
Non credo che l’Europa possa fare niente di utile. Questi problemi andrebbero affrontati e risolti da noi stessi. Ciò che l’Europa può fare è dare spazio e visibilità a una certa visione moderata, favorirla, appoggiarla. I musulmani moderati, però, non sono ascoltati né in Egitto né in Europa. Si preferisce sempre porre l’accento sugli estremisti alla Bin Laden, o sulle voci dei governi e delle istituzioni come Al-Azhar, e così la gente perde la percezione della realtà.
Al-Azhar è ancora così influente?
Al-Azhar è un’istituzione del Governo, non può parlare liberamente. Nell’ultimo anno le persone non hanno dato molto credito ad Al-Azhar per questo motivo. Parla sempre di rispetto per i cristiani in generale, ma evita accuratamente di parlare dei loro diritti violati. Il suo Rettore è direttamente nominato dal capo del Governo, Mubarak, quindi non si tratta di un’istituzione libera, ma organica al regime.
Si è parlato dei fatti di Rosarno sui media egiziani?
Assolutamente no. Ho seguito attentamente i giornali e le televisioni di questi giorni e le posso assicurare che la notizia non è stata riportata in Egitto.
Prima ha parlato della convivenza silenziosa e positiva di milioni di cattolici e musulmani. Può raccontarci come è possibile in questo contesto così difficile che ci ha descritto
Innanzitutto le posso raccontare la mia esperienza di musulmano. Ho grandi amici tra i copti e i cattolici. Certo, posso essere considerato un’eccezione, ma conosco tante persone cristiane e musulmane che hanno amicizie solidissime. In politica un’amicizia notissima è quella tra Munir-Sacri-Annur cristiano e Mahmud Abassa, entrambi sono i leader del partito liberale.
Ci sono molte amicizie famose come questa, ma certo, questa è gente colta, che ha viaggiato e che ha avuto una forte istruzione; però, anche tra il popolo, segni di questa amicizia sono presenti e riscontrabili. Basti pensare alle centinaia di persone di fede musulmana che hanno partecipato alle festività copte, o alle migliaia di musulmani che due settimane fa sono andati a farsi benedire nella Chiesa in cui è apparsa la Vergine Maria. Sono esempi concreti, nella vita d’ogni giorno, che mostrano che i musulmani egiziani non odiano i cristiani. Hanno una grande familiarità con le feste e le tradizioni cristiane. C’è una lunghissima storia di vita in comune alle spalle che ci unisce.
Cosa ha infranto questo rispetto e questa familiarità di cui parla? E soprattutto, da dove ripartire?
Guardi, se penso alla più grande amicizia di mia madre era una cristiana. I cristiani da sempre sono nostri vicini, mangiano quello che mangiamo noi, parlano la nostra lingua ed insieme abbiamo condiviso la stessa storia.
Oggi, invece, ci vengono proposte due visioni in conflitto: estremisti cristiani che parlano dei musulmani come stranieri arrivati in Egitto come conquistatori. Dall’altra parte i jihadisti che parlano dei cristiani come miscredenti. Occorre combattere queste voci. La mia fratellanza con un cristiano d’Egitto è molto più profonda e forte che con un musulmano del Pakistan o dell’Afganistan, persino Saudita. La stragrande maggioranza delle persone la pensa come me, ma sui media questo non fa notizia, si preferisce trasmettere l’esatto opposto.