I minatori che sono emersi dalle profondità della terra come testimoni di una presenza, ci hanno richiamato a guardare all’ideale che li ha sostenuti nella loro invisibilità nel chiuso della miniera.
La morbosa curiosità di apprendere il segreto o la formula vincente che li ha tenuti in vita per così tanto tempo si è frantumata di fronte alla certezza di una speranza, capace di dialogare alla pari fin dal primo momento con i loro soccorritori e poi, tornati in superficie, nell’abbraccio con autorità e familiari. Invece che condanna e recriminazione, l’abbraccio alla realtà.
Come è possibile che uomini anonimi, forgiati nel lavoro estenuante e precario della miniera, ci interpellino oggi con l’allegria per la traversata fatta, con la certezza di essere più vivi che mai?
Per contro, ispirati dalle formule classiche dello sviluppo con le loro soluzioni al più basso costo e con il prezzo della eliminazione di qualunque imprevisto, alcuni intellettuali si sono sentiti ingannati dalle dichiarazioni dei soccorritori, che avrebbero unito “anomali” fattori providenziali alla tecnologia e alle misurazioni. Nello sviluppo non c’è spazio per la “inefficacia dell’imprevisto”.
Molto più misurato, ma anche molto sicuro, all’entrata della miniera e davanti a uno dei suoi appena salvato, il presidente boliviano Evo Morales ha risposto sorpreso ai giornalisti che lo interrogavano sulla sua inusuale presenza in Cile: “É solo un evento che ci fa superare l’ideologia, la distanza tra due Paesi lontani.”
Le autorità politiche cilene, benché commosse per quanto successo, hanno messo in rilievo che allo Stato si presentano autentiche sfide, alle quali non può sottrarsi, quando i privati non riescono a risolvere i loro problemi e oltrettutto è in gioco la vita. Il presidente Piñera dal suo canto si è impegnato a un “nuovo patto” per i lavoratori che preveda migliori condizioni in materia di sicurezza sul lavoro e a una legislazione adeguata per le piccole e medie miniere.
Una politica della sussidiarietà è reale se serve all’uomo, non se difende un modello; allo stesso modo, uno Stato ridotto ad arbitro delle disgrazie dei piccoli è altrettanto inutile di uno Stato che si sostituisce alla persona nella sua iniziativa di fronte ai propri bisogni.
L’Accampamento Speranza è stato testimone di un modo non comune in Cile di far politica: mogli, figli e madri si sono traferite nel deserto di Copiapó per costruire un luogo da dove riprendere il compito di salvare i loro familiari in un dialogo con politici, esperti e media… e senza altra arma che una decisa speranza. Non come vittime, ma come protagonisti!
La “politica del lutto”, il vedere vittime dappertutto, di alcuni parlamentari è rimasta disarmata di fronte alla originalità di questa iniziativa, l’Accampamento Speranza. Allora, sono passati dal cercare i responsabili del disastro, tra l’altro per evitare le proprie responsabilità, ad appoggiare l’intervento e le operazioni di soccorso di uno Stato proattivo.
Questi nuovi fatti aprono oggi un nuovo spazio dopo le risse ideologiche dell’ultima elezione presidenziale e offrono nuove prospettive sul metodo per affrontare eventi come il terremoto del 27 febbraio, dove la tentazione della reciproca colpevolizzazione lasci il posto a un lavoro comune che dia priorità alla ricostruzione.
Il dialogo dei minatori e dei loro congiunti con le autorità pubbliche e la comunità civile ha gettato, senza che se lo proponesse, il seme di un nuovo dialogo tra quegli uomini “anonimi”, che sono gli esponenti del potere. Lo Stato che si inchina davanti agli “uomini invisibili” è l’occasione per un diverso paradigma politico, che sfidi l’abituale paternalismo del potere.
Favorire una cultura della responsabilità politica tra attori tanto diversi può apparire ingenuo, ma è l’unica strada perchè un Paese faccia prevalere il Bene Comune sullo stato quo, il primo erede della libertà, il secondo dell’ideologia.
(Bolivar Aguayo Ceroni)