“Sapevamo fin dall’inizio che Cina e Russia avrebbero posto il veto alla risoluzione contro Assad. Ma i ribelli siriani sono grati a Europa e Stati Uniti per tutto quello che stanno facendo per il nostro Paese. Anche se il loro tentativo di fare passare una mozione all’Onu non ha dato i risultati sperati, continuiamo ad avere fiducia negli organismi internazionali come le Nazioni Unite e l’Unione Europea e vogliamo fare sapere a Cina e Russia che non ci fermeremo fino a quando la dittatura sarà caduta”. Nelle parole di Abdulsattar Attar, portavoce del movimento dissidente Syrian Revolution 2011, non c’è polemica ma solo un filo di delusione. Ieri l’Onu ha respinto la mozione contro Assad per il veto di Cina e Russia, proprio nel momento in cui la repressione si fa sempre più cruenta, al punto che i morti stimati sono in tutto 2.700. Ilsussidiario.net ha raggiunto telefonicamente l’attivista siriano in esilio in Belgio da dove è in contatto 24 ore su 24 con i ribelli del suo Paese, per farsi raccontare gli ultimi sviluppi della situazione.
Che cosa ne pensa del veto posto da Cina e Russia alla risoluzione Onu sulla Siria?
Siamo un po’ delusi per il modo in cui purtroppo è andata questa vicenda, e la responsabilità di quanto è avvenuto è unicamente di Cina e Russia. Il veto all’Onu non farà altro che provocare sempre più morti innocenti tra i civili. Continueremo a cercare il sostegno internazionale, anche se le divisioni emerse finora ci rattristano. E soprattutto auspichiamo che gli organismi mondiali tengano conto del fatto che non ci fermeremo proprio ora, dopo tutto il prezzo di sangue che abbiamo pagato per l’insurrezione.
Perché Cina e Russia, che si erano astenute sulla risoluzione Onu sulla Libia, hanno posto il veto sulla Siria?
Mosca e Pechino sono legate alla Siria da diversi interessi economici e petroliferi. Finora hanno stipulato numerosi trattati con il governo siriano e quindi hanno molto da perdere, o almeno così temono, da una caduta di Assad.
Dopo il veto alla risoluzione, l’Onu è ancora credibile?
Sì. La popolazione siriana sapeva fin dall’inizio qual era la posizione di Russia e Cina, e si aspettava che avrebbero posto il veto. Noi siriani siamo molto grati all’Ue e agli Usa, perché hanno fatto tutto quello che potevano, ma queste sono le regole internazionali e la responsabilità non è del meccanismo di voto delle Nazioni Unite bensì di chi ha usato male il suo potere di veto.
Che cosa ne pensa invece del premier turco Erdogan, che ha annunciato nuove sanzioni contro Assad?
La posizione di Erdogan finora è stata un po’ altalenante. Ci rendiamo conto del resto che la posizione geografica della Turchia è difficile, perché ci sono 550 chilometri di confini che corrono con la Siria. E quindi non è semplice per Erdogan intraprendere delle pesanti sanzioni nei confronti di Assad. Noi continuiamo a sperare nel premier turco, e in particolare auspichiamo che prenda dei provvedimenti quantomeno per proteggere la popolazione siriana che vive al confine con la Turchia, inasprendo inoltre le sanzioni.
E’ vero che i ribelli siriani negli ultimi giorni stanno prendendo le armi, come in Libia?
No, non è vero. Alcuni militari siriani insieme a diversi ufficiali hanno disertato per proteggere i manifestanti, soprattutto nelle città dell’Ovest come Jisr Ash-Shughur e Ariah. Le proteste organizzate ogni giorno dai civili sono del tutto pacifiche: nessun cittadino ha imbracciato le armi. La rivolta quindi non è formata da persone che combattono contro il governo. Sono gli ex soldati e ufficiali che combattono le forze governative, quando queste ultime inviano dei carri armati per attaccare le nostre città. In Siria per chi non appartiene all’esercito è impossibile avere anche solo un proiettile, perché chi lo fa è condannato all’ergastolo. Ogni volta che l’esercito entra in una città, ci sono numerosi residenti che fuggono, e a volte sono attaccati dai carri armati.
Resta il fatto che sono dei soldati che combattono contro Assad perché credono nella rivoluzione, quindi quella siriana si è trasformata in una rivolta armata…
Sì, ma i soldati ribelli si sono sempre rifiutati, fin dall’inizio delle proteste, di distribuire delle armi alla popolazione civile. Noi abbiamo sempre creduto e continuiamo a credere in una rivoluzione pacifica. Riteniamo che armare i comuni cittadini sarebbe un grave errore, perché questo farebbe sprofondare il Paese in una guerra tremenda. Numerosi civili resterebbero uccisi, molti di più di quelli che abbiamo perso finora. Invece, quando i manifestanti scendono nelle piazze contro Assad, cantano in coro: “Vogliamo dimostrare pacificamente”. Il governo siriano del resto non aspetta altro che una scusa per colpire delle persone a caso, e armare i civili gli offrirebbe proprio questa giustificazione.
Come si sta evolvendo ultimamente la situazione in Siria?
Nella Siria centrale, da Homs ad Hama, da Idlib ad Al-Rastan l’esercito e le forze governative nelle ultime due settimane hanno iniziato una violenta campagna militare contro le città. Al-Rastan in particolare, una cittadina di circa 60mila abitanti, è stata circondata da 250 carri armati e più di 30mila soldati. Con questo tipo di azioni distruggono tutte le città che si ribellano. Anche perché non affrontano i manifestanti con lacrimogeni o proiettili di gomma, che non fa mai parte delle loro dotazioni, ma solo con armi da fuoco dall’effetto mortale. Ora stanno davvero tentando di fermare la rivoluzione nei quattro angoli del Paese, ma non ci riescono perché noi vediamo che la scintilla delle proteste si propaga ovunque. Dopo ogni repressione, le opposizioni si arrendono per un mese illudendo il governo di averle piegate. E non appena l’esercito si trasferisce in un’altra città, ricominciano le proteste.
Che cosa risponde ai cristiani siriani che temono un nuovo Iraq?
Vogliamo che la popolazione cristiana della Siria sappia che ogni giorno, nelle nostre manifestazioni, cantiamo lo slogan “Uniti, uniti, noi siamo uniti”. Tutti insieme in Siria stiamo cercando di ottenere un Paese democratico, dove tutti possano essere uguali, senza esclusioni né alcun privilegio per un gruppo religioso piuttosto che per un altro. Non vogliamo che i gruppi islamisti guidino il nostro Paese, ma che tutti possano votare ed esprimere la loro opinione. Fin dalla nascita della Siria cristiani e musulmani sono vissuti insieme, e non abbiamo mai avuto problemi gli uni con gli altri.
(Pietro Vernizzi)