Tre o quattro settimane: è il periodo necessario, realisticamente, perché le operazioni militari in Libia abbiano fine. Lo ha detto il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, spiegando che se circa un mese è un’ipotesi ragionevole, «ipotesi ottimistiche dicono invece pochi giorni». Si tratta ora di «intensificare – ha continuato – la pressione» sul regime di Gheddafi perché possa «partire l’iniziativa politica». Tale ragionamento «è stato l’esito della riunione del Gruppo di contatto che si è tenuta ieri a Roma». Del Gruppo, in particolare, fanno parte 22 Stati e 6 organizzazioni, tra cui la World Bank; scopo dell’organismo è quello di fornire una guida politica e strategica, di concerto con l’Onu, l’Ue e l’Unione africana, alla popolazione libica, in vista dell’uscita dal conflitto. Obiettivo fondamentale e decisivo, finanziare l’autonomia di quelle parte di popolazione che non si trova più sotto il controllo di Gheddafi, attraverso un Meccanismo di finanziamento temporaneo (Tfm) che fornisca «un canale trasparente – si legge nella conclusioni della riunione del Gruppo di ieri – per una gestione congiunta fra i partner internazionali e il Consiglio nazionale transitorio sul sostegno finanziario di breve termine». Il gruppo invita tutti i Paesi donatori a «contribuire al Tfm». Attualmente, il Kuwait ha destinato 180 milioni di dollari, mentre il primo ministro del Qatar ne ha promessi 500 milioni. L’utilizzo degli asset libici congelati, per il momento, è un’alternativa che è stata scartata, perché creerebbe problemi giuridici a livello internazionale. Gli Stati Uniti, per bocca del segretario di Stato Hillary Cliton, presente ieri al vertice, fanno sapere che, invece, stanno studiando un piano che consenta di sbloccare parte dei trenta miliardi di beni libici congelati in Usa, senza dover violare alcuna legge. «In base al diritto internazionale, la Libia è ancora uno stato sovrano e ogni uso dei suoi asset congelati è come la pirateria in alto mare», aveva dichiarato, a tal proposito, il vice ministro degli Esteri di Tripoli, Khaled Kaim, nel corso di una conferenza stampa. I “combattenti per la libertà” (come adesso vogliono essere chiamati, al posto di “ribelli”) dal canto loro fanno sapere che sono rimasti a secco e che, senza aiuti per almeno 2 o 3 miliardi di dollari non potranno più combattere il regime. Intanto, la Francia dà seguito alle intenzioni espresse dal Gruppo, e intensifica la pressione diplomatica sulla Libia, espellendo 14 «ex diplomatici» libici.
Un comunicato del ministero degli Esteri francesi «ha dichiarato persona non grata 14 ex diplomatici libici di stanza in Francia». Si tratta di persone che non hanno voluto troncare ogni rapporto con Gheddafi che, a seconda dei casi, dispongono di un «termine di 24 o 48 ore per lasciare il territorio nazionale». Oltre al fondo internazionale, il Gruppo sosterrà la road map proposta dai due membri del Consiglio di transizione libico (Cnt) che consiste in un’assemblea nazionale “inclusiva” per stilare una costituzione che sarà sottoposta a referendum, seguita da elezioni presidenziali e parlamentari. Il Cnt ieri, tra l’altro, ha annunciato l’intenzione di indire elezioni comunali nelle zone liberate, elemento definito come «positivo segnale di volontà democratica».