Il caso Battisti si chiude come una vergogna annunciata. Dopo quattro anni l’ex terrorista-rapinatore esce dal carcere e l’immagine di lui che saluta dall’auto ricorda molto da vicino quella di Alberto Sordi nel film “I vitelloni” che prende in giro, ricordate come, i “lavoratori”. Solo che in quel caso l’auto va in panne dopo duecento metri e Albertone se la deve dare a gambe per sfuggire all’ira degli sbeffeggiati. Ho l’impressione, invece, che Battisti e soprattutto la multinazionale che lo protegge – e che non a caso lo aveva condotto in Brasile – abbia studiato le cose ben bene per lui.
Una vicenda vergognosa, si diceva, e dall’esito scontato. È come se si fosse voluto cinicamente protrarre il film all’infinito, per fare in modo che nel frattempo gli spettatori si annoiassero e rimanessero solo in quattro-cinque in sala. Si trattava cioè di allentare l’attenzione dei media italiani, è stato questo l’inconfessabile, forse tacito, accordo fra il Brasile e il nostro governo, che infatti mai sul caso Battisti, nello scenario internazionale, ha posto in essere atti conseguenziali all’indignazione esibita ad uso interno.
Non c’era, infatti, nessuna realistica speranza di vincere nella sede dell’incolpevole Corte Suprema brasiliana, ed è ipocrita prendersela ora con i giudici. La loro decisione si basa infatti su un provvedimento squisitamente politico, quale è la scellerata dichiarazione di rifugiato concessa a Battisti dall’allora ministro della Giustizia Tarso Genro e confermata in seconda istanza al termine del mandato dall’ex presidente Lula. E a un rifugiato politico il Tribunale brasiliano non aveva e non ha alcun potere per concedere l’estradizione, è quindi sul piano politico-internazionale che la partita andava giocata, se mai ve ne fosse stata l’intenzione.
Ecco il punto, credo che non ve sia stata l’intenzione. “A Lula mi sento assolutamente vicino perché, pur essendo la mia provenienza assolutamente diversa, siamo fatti allo stesso modo ed infatti ci siamo capiti bene subito, sin dall’inizio”. Così Berlusconi nel corso della sua visita di un anno fa a Brasilia. Dichiarazioni che si conciliavano bene con la stipula del trattato di cooperazione che fu infatti siglato in quell’occasione (e che dovrebbe portare commesse di ogni tipo, in primo luogo militari, si parla di 10 miliardi) ma nessuno spazio fu trovato per una sia pur tiepida contestazione della vicenda Battisti.
La vicenda, lo stesso Berlusconi lo affermò, rimase del tutto fuori dal lungo colloquio con Lula protrattosi per oltre un’ora in cui invece si sarebbe ampiamente discettato di commesse economiche, di calciatori carioca del Milan e – pare – dell’avvenenza delle giovani brasiliane. Si diede da fare anche l’editore-direttore dell’Avanti Valter Lavitola, in affari in Brasile (quello che indagava contro Fini, ricordate?) ad alleggerire l’agenda della visita del premier, organizzando per lui, si favoleggia, una serata con ballerine brasiliane. In questo contesto, chiedo, che idea si deve aver fatto Lula, che la vicenda Battisti era in cima alle preoccupazioni del nostro governo, forse? Ma allora, a che è servita la sollecitazione che il presidente Napolitano aveva fatto all’amico Lula, ospite del Quirinale durante alla cena del G20 (a latere del G8) se poi il governo con il suo massimo esponente mostra un così palese disinteresse sulla vicenda?
Così Lula si è chiarito definitivamente le idee: si trattava solo di portare avanti la storiella fino a fine mandato per poi confermare il no all’estradizione da tempo deciso, e così ha fatto. Quella visita di Berlusconi, in realtà. era stata a lungo rinviata proprio per l’imbarazzo sulla vicenda Battisti. Poi, però, c’è stato un colpevole calo di attenzione dei media italiani, anche ad Alberto Torregiani – figlio di Pierluigi il gioielliere assassinato dal gruppo di Battisti e costretto da allora sulla sedia a rotelle – è stato chiesto di avere pazienza e tacere.
Torregiani, va ricordato, esponente del movimento di Daniela Santanché, a lei aveva chiesto di incontrare Berlusconi prima della visita in Brasile e della stipula del trattato di cooperazione, ma gli era stato chiesto di pazientare. Nel frattempo il trattato – come detto – è stato stipulato senza disturbare i manovratori e, giusto per la cronaca, alla Santanché è arrivata nel frattempo la promessa nomina a sottosegretario.
Così, quando – il 31 dicembre – la decisione finale e negativa di Lula è arrivata, la manifestazione di protesta di piazza Navona capeggiata proprio dalla Santanché (con il premier che finalmente, quando è tardi, accetta di incontrare Torregiani in aeroporto) assumeva i contorni di una cinica sceneggiata, così, tanto per far finta di essere indignati.
In realtà, però, una possibilità ancora c’era, ed era stato lo stesso ministro Franco Frattini a minacciarla: il ricorso alla Corte dell’Aja. Essendo una sede Onu, l’atto avrebbe infatti comportato una vera e propria chiamata in giudizio del Brasile, e non più di Battisti, per violazione del trattato bilaterale sulle estradizioni. Ancora una volta la più attenta stampa brasiliana ci ha anche rivelato che i costituzionalisti erano convinti, in Brasile, che se l’Italia avesse scelto questa strada sarebbe risultata vittoriosa. Invece niente.
Per non dire del presunto richiamo dell’ambasciatore che, a quanto ci risulta, è solo rientrato in Italia per qualche giorno, così per fare il punto, senza che niente – neanche stavolta – desse l’idea che si faceva sul serio. Ora, come si diceva, il Tribunale brasiliano ha deciso nell’unico modo in cui – rebus sic stantibus – poteva decidere.
Vorrei solo aggiungere una riflessione. Non ho nulla contro gli ex terroristi, purché veramente ex, anzi di alcuni di loro sono profondamente amico e non me ne vergogno, credo che il recupero dopo l’espiazione e il pentimento sincero siano valori evangelici e costituzionali insieme. Il vero trionfo dello Stato, insomma.
Ma qui il garantismo non c’entra niente. Qui siamo di fronte a un pluriomicida evaso e contumace, che senza dar adito a nessuna ammissione e men che meno pentimento le ha studiate tutte per scappare, facendo in tempo ad entrare nel frattempo nel giro della cultura radical chic di sinistra francese, che ha studiato per lui dove e come condurlo per farla franca, una volta finita, in Francia, la cosiddetta dottrina Mitterand.
Sarkozy, dopo il suo arresto, si fece la sua luna di miele guarda caso proprio a Copacabana, appena dopo che Battisti era stato scovato proprio su quelle spiagge: ricevette Lula in albergo e con tutta probabilità gli raccomandò il caso dell’amico di sua moglie ex criminale, poi terrorista, diventato scrittore. Missione compiuta, quindi, anche se son dovuti passare tre anni e mezzo.
Quando Gheddafi cannoneggiò un nostro peschereccio Frattini disse che questo non metteva in discussione l’amicizia con la Libia. Qui sembra ripetersi la stessa storia. E anche se il ministro degli Esteri dice che ricorrerà, stavolta, finalmente, alla Corte dell’Aja noi – in attesa, senza grande fiducia ormai – un po’ di vergogna per la dignità che dimostriamo sul piano internazionale la proviamo. Senza neanche bisogno di parlare della nipote di Mubarak. Anzi, a proposito, dov’è finita l’opposizione su questa vergognosa vicenda?