“Gli elettori hanno scelto Putin per la terza volta perché è il leader che è stato in grado di restituire l’orgoglio nazionale al popolo russo. Rispetto al partito unico dell’era sovietica, la democrazia negli ultimi 20 anni ha compiuto enormi passi avanti. L’avversione di una parte dell’opinione pubblica italiana nei confronti di Putin nasce da una profonda incomprensione dello spirito russo”. E’ il commento di Giovanni Morandi, direttore de Il Giorno ed ex corrispondente da Mosca negli ultimi anni dell’URSS. Ilsussidiario.net lo ha intervistato sulla vittoria di Vladimir Putin alle elezioni presidenziali, dove ha conquistato il 63,75% dei voti contro il 7,8% del secondo classificato, il comunista Ghennadij Zjuganov. Mentre il beniamino degli intellettuali, delle elite e della borghesia della capitale, Mikhail Prokhorov, si è fermato al 7%.
Morandi, l’Ocse ha denunciato irregolarità in un terzo dei seggi. Ritiene che quella di Putin sia stata una vittoria democratica?
Sì, è stata sicuramente una vittoria democratica che esprime l’opinione della maggioranza dei russi. E questo al di là della denuncia di eventuali irregolarità, che secondo l’Osce sarebbero state registrate in un terzo dei seggi. Ma non è questo il punto, la sostanza è che i russi vogliono essere guidati da una personalità che abbia le caratteristiche di Putin. La politica di Putin ne esce quindi confermata, senza neanche la necessità di essere rafforzata.
Quali sono le caratteristiche di Putin che suscitano il consenso dei russi?
La prima di queste caratteristiche è l’orgoglio nazionale, che non va mai sottovalutato. Inoltre la capacità di rappresentare un potere forte, che a sua volta è un’attesa che non va mai dimenticata, e la forza di garantire una continuità. In che senso? Questo è un voto che va contro ogni politica che rappresenti una discontinuità. Putin ha restituito l’onore ai russi, e questo è un punto che non sottolineiamo mai a sufficienza. Di questo gli è grato e per questo lo ricompensa il suo popolo. Putin è stato un ufficiale del KGB.
Fino a che punto può essere credibile come presidente di una Russia post-comunista?
Tutta la classe politica russa, anche quella del post-comunismo, viene dai quadri del Partito Comunista Sovietico. Può non essere legata all’era sovietica solo per motivi generazionali, ma per tutte le persone oltre una certa età sicuramente il ceppo d’origine e la scuola sono quelli comunisti. La continuità sta piuttosto nel fatto che un’organizzazione e un’espressione del potere fortemente centralizzata e autoritaria, e non soltanto autorevole, corrisponde a una concezione tipicamente russa. In questo senso c’è una continuità con il Partito Comunista, e prima ancora con il potere zarista, i quali rappresentavano quell’idea del potere che ancora oggi è molto viva.
Quanto sono diverse l’Unione Sovietica che lei ha conosciuto direttamente e la Russia del 2012?
Sono diverse in tutte le loro apparenze e uguali in tutte le loro sostanze. Sono diverse cioè in quanto oggi ci sono le automobili, il lusso, una tecnologia diffusa, e le case non sono povere come potevano essere durante il regime sovietico. C’è quindi una capacità di disporre del benessere e delle sue più diverse espressioni, che rende la Russia odierna differente da quella comunista. Nella sostanza però il Paese rimane uguale al passato: molto amante della propria terra, molto geloso delle proprie tradizioni, una Russia contadina, guardinga sulle proprie frontiere, e soprattutto protesa verso una politica imperiale, cioè che ambisce a esprimere una forza in termini internazionali.
Inizialmente lei ha detto che la Russia di oggi è democratica, al contrario di quella sovietica. Questa somiglianza con l’epoca del comunismo contiene quindi anche una grande differenza?
Certamente. Nel periodo sovietico, il voto era una semplice ratificazione da parte degli elettori di una lista di persone che erano già state scelte dal partito. Tanto è vero che quello delle elezioni era un giorno festivo, e non rappresentava un momento in cui si decideva il futuro, ma in cui era già stato deciso dal Partito. Il popolo doveva quindi semplicemente ratificare dal punto di vista formale, recandosi nel seggio elettorale, e qui finiva la sua funzione democratica. Nella Russia di oggi esiste invece una pluralità di liste, ciascuna delle quali corrisponde a un candidato alla presidenza, e quindi di vista il Paese di oggi è democratico. Da questo punto di vista Mosca ha quindi compiuto un grande passo avanti rispetto al comunismo. Il carattere dei russi e il modo in cui concepiscono il potere ha un filo di continuità, ma è fuori discussione che ci sia una grande differenza tra la Russia post-comunista e l’Unione sovietica.
Secondo lei perché i media e l’opinione pubblica italiana vedono in modo negativo Putin?
In parte per la vicinanza tra Putin e Berlusconi, che motiva l’avversione di una parte della nostra opinione pubblica. Putin inoltre è visto come un uomo autoritario e quindi in qualche modo una persona di cui non ci si può fidare, o che quantomeno è lontana dalla nostra concezione che rifugge quel modello di autoritarismo. In definitiva, questa avversione nasce da un’incomprensione dello spirito russo. I russi capiscono gli italiani molto di più di quanto noi italiani riusciamo a capire i russi.
(Pietro Vernizzi)