Oggi sciopero generale in Grecia. I sindacati del settore pubblico e privato scendono in piazza perché il “governo non ha mantenuto i suoi impegni pre-elettorali, continua nella sua politica di austerità punitiva, di povertà e miseria, applicando il nuovo duro memorandum con condizioni gravose”. Questa la sostanza della manifestazione. Di sicuro tutti gli impiegati pubblici saranno in piazza. E poi i pensionati, i disoccupati e gli studenti. Sarebbe interessante conoscere  il numero dei lavoratori del settore privato che sfileranno per il centro di Atene. Per loro lo sciopero equivale a un ulteriore fastidio dovuto alla mancanza di mezzi pubblici e di strade intasate. Ma  timbreranno il loro cartellino.



È il primo sciopero dell’era Syriza. Sarà interessante sapere se in “coda” allo sciopero avverranno scontri con gli anarchici, se il centro di Atene vedrà battaglie a base di molotov e sassi. Chissà se questa “tradizione” verrà confermata. Dunque i lavoratori sul piede di guerra, a reiterare azioni politiche che non portano ad alcun risultato, ma fanno bene alla demagogia dei sindacati che sono ancora convinti che uno sciopero abbia un valore di pressione per il governo. 



Allo sciopero parteciperà anche Syriza – in edizione “partito di lotta” – che manifesterà contro i  propri compagni – in edizione “partito di governo”. Perché? Perché “le lotte contro le politiche impopolari e  neo-liberali continuano”. “Qualcuno dovrebbe ricordare ai dirigenti del partito al potere  che il governo agisce nell’interesse nazionale, come sostiene il primo ministro”, si leggeva ieri in un commento di un quotidiano.

Se poi si fa una radiografia asettica del mercato del lavoro si scopre che la Grecia dispone di una forza lavoro pari a 4.470.000 persone, di cui 3.500.000 sono occupate (stipendio medio inferiore a 800 euro), che 1.240.000 sono i disoccupati (nove su dieci non percepiscono alcun contributo statale), mentre 2.650.000 sono i pensionati (sei su dieci percepiscono una pensione inferiore ai 700 euro, e il 44,8% ha una pensione inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto 665 euro). Con questi numeri, spiega il professor Savvas Robolis, “il Paese non ha alcuna speranza di riequilibrare l’ingiusto sistema previdenziale, tantomeno di ripristinare un’economia efficiente”.



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