Alexis Tsipras ha vinto le elezioni per la presidenza di Nea Dimokratia anche se non era candidato. Può sembrare un paradosso, ma il fiasco delle primarie di domenica scorsa – imputabile a questioni tecnico-logistiche – ha reso manifesta l’epifania di un partito allo sbando. Tutto rimandato a metà dicembre. Dunque, l’opposizione, nel periodo in cui il governo dovrà varare le riforme previste nel secondo pacchetto dell’accordo con l’Ue, è riuscita a diventare lo zimbello dell’opinione pubblica e della politica. E proprio nel momento in cui ND sta accusando il governo di essere “incompetente”.
Già i quattro candidati non suscitano entusiasmo e non offrono garanzie sulla loro capacità di mantenere in vita il partito conservatore. Dall’inizio della corsa verso la presidenza si è assistito a un bisticcio continuo. Su questioni politiche? Su una strategia futura? Sull’identità del partito? Magari. È stato uno scontro tra galli di un pollaio occupato da galline spennacchiate. In altre parole, i memorandum hanno spazzato anche l’ultimo partito che si reggeva sul clientelismo. L’altro, il Pasok, sopravvive, abbandonato dagli elettori e dai sindacati, trasmigrati quasi tutti in Syriza.
L’ultima ridotta del vecchio sistema politico nato nel 1974 era difesa da un partito senza identità che era andato l’ultima volta al potere nel 2012 perché gli elettori avevano creduto nelle promesse di Antonis Samaras – con un differente linguaggio, Samaras ha promesso ciò che ha promesso quest’anno Tsipras. Si è poi visto cosa hanno scelto entrambi. Prima, sotto Konstantinos Karamanlis “il giovane”, Nea Dimokratia aveva aperto le porte alla crisi economica di cui la Grecia paga ancora, e chissà fino a quando, le irresponsabili decisioni di quel governo conservatore.
Francamente in questi cinque anni non si è mai capito quale fosse l’identità politica e ideologica di questo partito. Liberale? Conservatore? Riformista? Nazionalista? Tutto e il contrario di tutto. E così, perse le leve del potere (gestione delle clientele e delle consorterie), si è manifestata la vera anima di Nea Dimokratia: un contenitore vuoto, menti confuse, linea politica “à la carte” e una leadership debole e con un’immagine compromessa con il passato. Persino Karamanlis “il giovane” ha manifestato la sua “rabbia” per l’accaduto e ha adombrato anche l’ipotesi che il partito possa spaccarsi. Neppure questa volta ha avuto la forza di stare zitto, come già fece prima del referendum di luglio.
Questo marasma non fa bene neppure al governo Tsipras II. Con 153 voti di maggioranza non può stare tranquillo. Per metà dicembre il suo governo dovrà votare la lista del secondo pacchetto di almeno dieci riforme previste dal Memorandum III, alcune delle quali vanno a cozzare contro l’anima statalista (niente privatizzazioni) e clientelare (nessuna riduzione degli stipendi nel settore pubblico) dei “syrizei”. Mentre le riforme “pesanti”, quali il sistema pensionistico e la tassazione degli agricoltori, vengono spostate a inizio 2016. Saranno le più difficile da “far digerire” alla sua compagine parlamentare.
Non va dimenticato che molti parlamentari “syrizei” votano per disciplina di partito e certamente non per convinzione. Per questa ragione Tsipras la scorsa settimana aveva chiesto un “accordo” tra i partiti su alcuni temi fondamentali per il futuro del Paese. Si era anche parlato della possibile formazione di un governo “ecumenico”. Ma forse di questa evoluzione del panorama politico si potrà parlare nel prossimo anno. Accordo tra i partiti già di suo difficile da raggiungere in condizioni politiche normali.
Dunque, tutto rimandato e nessun controllo sul lavoro del governo, il quale sta allargando le sue maglie del potere. Si mormora che nei prossimi giorni verrà obbligato a “dimettersi” anche il presidente dell’Autorità di controllo della Borsa di Atene. Autorità indipendente, in teoria. Si dice anche che al suo posto verrà nominato un ex socialista – meglio un ex “pasokista” – più malleabile che appartiene alla consorteria.