La “primavera di Atene” – se mai era cominciata – è adesso un freddo inverno. Alexis Tsipras ci ha provato con la fede del neofita e con la baldanza della superiorità della “morale di sinistra”. La stampa internazionale gli ha offerto spazio. Lo hanno “costruito” come modello di antagonismo alla rigidità europea senza considerare le fonti culturali da cui proveniva l’attuale primo ministro, senza conoscere la reale struttura ideologica di Syriza. Ma la battaglia della stampa internazionale non era al fianco della Grecia, quanto finalizzata per usi interni. Lo prova il fatto che la Grecia è uscita dall’orizzonte mediatico. Le conseguenze delle scelte di quei sette mesi scellerati non vengono riportate dalla stampa estera – non parliamo poi di quella italiana. Dove sono finiti i “giornalisti-megafoni” di Alexis Tsipras?
Comunque sia, quando l’Europa gli ha imposto di vedere il “bluff”, il giovane Tsipras è stato costretto ad accettare le sue condizioni. Ora i greci gli stanno chiedendo di sapere quali e quante promesse elettorali avrebbe mantenuto, e scoprono che nessuna di queste è realizzabile. Il “programma parallelo”, le misure “equivalenti” erano sogni a occhi aperti. Se si vuole che il sistema pensionistico sopravviva bisogna tagliare le pensioni. Risorse “parallele” o “equivalenti” non si trovano perché non ci sono proprio.
E così i primi nodi stanno venendo al pettine: la riforma delle pensioni (si preannuncia una “carneficina”), le privatizzazioni e la riforma tributaria. E in aggiunta alcuni corollari di non poco peso politico per le clientele che lo hanno sostenuto: ad esempio, il taglio degli stipendi degli impiegati pubblici (in buona parte elettori di Syriza che aveva promesso niente tagli ai dipendenti dello Stato) e alcune privatizzazioni che intaccano il potere sindacale (altro serbatoio di voti per Syriza).
Con 153 voti favorevoli Tsipras sa di non poter andare molto lontano. L’insofferenza sociale ormai manifesta è registrata anche da un ultimo sondaggio. Percentuali da brivido. Anche ammettendo che i sondaggi in Grecia vadano presi con le molle, l’ultimo della scorsa settimana rivela che il 70% degli intervistati si dichiara insoddisfatto dell’azione di governo. Al 71% non piace l’alleanza sinistra-destra. Il 37,8% vorrebbe un governo “ecumenico”, cioè di unità nazionale. Se poi si leggono le percentuali di intenzioni di voto, allora il sondaggio sintetizza tutti i commenti, raccolti per strada e tra amici, nella completa sfiducia nei due partiti maggiori: Syriza è quotato al 18,4%, Nea Democratia al 14,9%.
Forse oggi alcune percentuali potrebbero essere ancora più basse, dopo il naufragio della riunione, voluta dal Presidente della Repubblica, dei leader di tutti i partiti, che si è tenuta sabato scorso. Dopo sei ore di discussione i protagonisti si sono salutati con frasi caustiche e polemiche. In realtà, era stato Tsipras – in vista di votazioni su argomenti difficili (leggi pensioni) – a chiedere al Presidente della Repubblica questo incontro. Il primo ministro avrebbe voluto un “accordo” sui grandi temi di politica nazionale, o almeno la costituzione di commissioni interpartitiche per tracciare una strategia comune. Ma sulla riunione incombeva un interrogativo, che poi è ciò che blocca ogni possibile dialogo tra i partiti: “Di chi è la colpa della crisi, come siamo arrivati fin qua?”. La risposta più superficiale è “sono stati gli altri”. In realtà, la responsabilità è di tutti: di chi era al governo – e oggi all’opposizione – e di chi era all’opposizione, oggi al governo. Senza un’analisi comune delle responsabilità e degli errori non ci sarà mai una intesa comune. Dunque terza occasione sprecata dal 2010.
Tsipras ha chiesto “aiuto” all’opposizione, la quale gli ha risposto “no”. “Ho chiesto loro di trovare una comune ‘linea rossa’ per la riforma delle pensioni che produca la sua sostenibilità senza un ulteriore taglio degli assegni”, e ha insistito per la firma di un documento condiviso in cui si chiede che le pensioni non vengano tagliate. “No”, gli è stato risposto, anche perché, spiega il leader di un partito, Tsipras è rimasto sul vago. Ma se Tsipras è in grado di ottenere questo “miracolo” – sostenibilità e nessun taglio – perché ha chiesto un accordo con gli altri partiti? Se il ministro del Lavoro può far quadrare il cerchio, perché Tsipras dovrebbe condividere il successo con gli avversari?
Le risposte non tarderanno ad arrivare. Insieme a un altro “no” alla proposta del primo ministro di istituire una commissione di tecnici che siano in grado di individuare tagli per lo 0,4% del Pil, in considerazione del fatto che i suoi ministri hanno trovato soltanto voci di tagli per lo 0,6%. In questo clima di polemiche è intervenuto anche il governatore della Banca Centrale, Yannis Stournaras, affermando che per uscire dalla crisi è necessario il consenso tra le forze politiche, altrimenti al Paese non verrà data un’altra possibilità (leggi piano Schaeuble per l’uscita temporanea dall’euro).
L’iniziativa di Tsipras non ha sortito alcun effetto positivo, purtroppo. Il clima politico, nonostante la crisi, continua a camminare sui binari tradizionali di un sistema parlamentare non educato alle alleanza tra partiti e la stessa legge elettorale si è conformata al sistema maggioritario. Servirebbe un miracolo per assistere alla collaborazione di tutti i partiti in nome della “salvezza nazionale”, di cui il Paese ha estremo bisogno. E i partiti dell’opposizione non hanno alcuna intenzione di avere il ruolo di retroguardia in una manovra gestita dal governo. I greci – sostengono – hanno votato Syriza e il suo programma, dunque spetta a Tsipras a gestire le riforme.
È vero, ha strappato il consenso di tutti sul tema dei rifugiati, ma non era quello il suo principale obiettivo. Lo scopo era tracciare un’ultima “linea rossa” con la complicità delle opposizioni. Linea che, con o senza complici silenti, sarà obbligato a superare.