Dalla Grexit dall’Europa con disonore alla Grentry nell’Europa con dignità? Compagni dovete crescere! L’intervallo è finito. “Abbiamo ricevuto il mandato per arrivare a un accordo migliore e non portare il Paese verso la rottura”. Di Grexit non ne parliamo più. Dobbiamo invece parlare della riorganizzazione dello Stato. “È come se ti chiedessero: o i soldi o la vita”. Alexis Tsipras ha presentato ai suoi parlamentari la bozza di proposte che è già nelle mani degli europei. La discussione non è stata pacata, molti i punti di disaccordo. I “dracmisti”: “La proposta ellenica non coincide con il programma di Syriza, e non può fornire la risposta ai problemi e alla prospettiva del Paese”. “O continuiamo tutti assieme su questa strada, o tutti assieme ce ne andremo”, ha spiegato il primo ministro. Ma il suo appello alla unanimità non è servito a molto. Cinque deputati lo hanno invitato a rifiutare l’accordo e il ricatto degli europei.
Tsipras durante la sua replica è stato categorico: “Il governo non accetta che il partito di maggioranza relativa non voti compatto questa legge. Senza l’unanimità dei voti non continuiamo”. E ha minacciato di espellere dal gruppo parlamentare i dissidenti. Per non votare “no”, Yanis Varoufakis ha dichiarato che non si sarebbe presentato in Parlamento per la votazione, adducendo “motivi famigliari”. Nel tardo pomeriggio di ieri è stato visto sul traghetto con destinazione Eghina, un’isola di fronte ad Atene. Risparmio al lettore i commenti rabbiosi. Sono stati momenti drammatici. Tutto nuovamente in discussione? Qualche irresponsabile parlava già di elezioni a settembre. La riunione del gruppo parlamentare Syriza si è conclusa senza alcuna votazione. Tutto rimandato al dibattito in Parlamento. A notte fonda ancora ci si confrontava.
Il Parlamento era stato convocato per la discussione dell’unico articolo di legge che accompagnava il testo in inglese – tanta la fretta di arrivare alla conclusione delle trattative perché il tempo stringe – della bozza, in cui la Grecia si dichiara disposta ad arrivare a un accordo, e si dà mandato al governo di trattare con i creditori.
Questa sintesi di intenzioni politiche doveva essere raggiunta cinque anni fa. Se si arriverà a una votazione che soddisfi Tsipras, a Bruxelles, la delegazione ellenica non parlerà più come la voce di un governo di sinistra, quanto come il coro di un governo che tratta a nome della Nazione. In caso contrario, “Theos voitos!” (Che Dio ci aiuti).
È probabile che questa nuova situazione porterà radicali cambiamenti nel panorama politico e nel governo. E forse darà la forza ad Alexis Tsipras di rifondare il suo partito su basi social-democratiche. “L’accordo ci sarà”, era la cantilena sentita dai parlamentari di Syriza che sono stato chiamati alla raccolta, ieri mattina. Non hanno perso il vizio della retorica, perché per trovare l’accordo bisogna essere in due.
Dall’altra parte del continente gli europei hanno accolto con favore la bozza di proposte. Letta con attenzione, i punti dell’accordo non si discostano molto dalla proposta Juncker del 25 giugno (per intenderci, la proposta che è stata bocciata dalla maggioranza dei greci). Le differenze sono minime, tranne per il prezzo delle misure (8 miliardi contro 12) e il periodo (un anno e mezzo contro tre). La speranza è che Bruxelles accetti le idee di Atene, la paura che i creditori aggiungano alla somma totale altre misure, soprattutto in campo previdenziale, nonostante la voce che dice che le baby pensioni saranno abolite e che si andrà in pensione a 67 anni, nessun privilegio per nessuno. E poi tagli agli stipendi nel settore pubblico. E poi tasse, compresa quella sulla prima casa. Sono crollati i pilastri delle promesse elettorali di Syriza, sotto il peso di un disastro annunciato.
La “linea rossa” che Atene si ostinava a non voler superare si è scolorita. Questa “linea rossa” segnerà anche il confine tra le due anime di Syriza e verificherà la tenuta del governo di coalizione. I primi prodromi di questo probabile scontro sono registrati dall’assenza di due firme “pesanti” sull’articolo di legge che il governo ha presentato. La prima quella del leader della sinistra-sinistra, Panagiotis Lafazanis, che ha parlato, con il suo solito forbito vocabolario, di un nuovo “memorandum-crematorio”. Si parla anche delle sue possibili dimissioni da ministro dell’Energia qualora si dovesse privatizzare una quota della società elettrica. La seconda quella del ministro della Difesa, e alleato di governo, il presidente di “Greci Indipendenti”, Panos Kammenos, che sarà costretto a tagliare le spese ai suoi generali e al suo ministero. Comunque sarà interessante vedere come voteranno, e chi, tra i due, sarà più coerente alle sue idee. Kammenos si dichiarò contrario alle misure prese dal governo Samaras. Votò contro e fu espulso dal partito.
Ma niente paura, Tsipras, in caso di possibili defezioni, ha già in panchina degli ottimi rincalzi. Tuttavia il primo ministro ha escluso un cambiamento nella geometria dell’attuale governo. La Grecia volta pagina. Alexis Tsipras ha voltato pagina. Il referendum è il passato prossimo, anche se viene ancora usato come puntello per reggere la giustificazione delle nuove misure. E anche questa retorica verrà presto dimenticata.
I sacrifici sono pesanti, tutti i greci ne sono coscienti. Li accetteranno? Speriamo di sì. Ne saranno consapevoli quando il governo, e questa volta applicando concretamente una politica di giustizia sociale, dimostrerà di aver sconfitto, nei limite del fisiologico, l’evasione fiscale e la corruzione e riequilibrato il peso fiscale tra i diversi strati sociali. Non dimentichiamo che nei cinque anni di crisi, alle classi media e bassa è toccato un aumento delle tasse del 340%, mentre i ricchi hanno subito un aumento del 9%.
Il periodo che inizia con la caduta dei colonnelli e il ripristino della democrazia viene definito “metapolitepsi”. Dal 1974 a oggi sono trascorsi 41 anni e con il 5 luglio si è chiuso un ciclo storico di questo Paese. Si è entrati in un nuovo paradigma. La classe politica che si è formata all’ombra dei due leader, Papandreou e Karamanlis, è stata sconfitta dalla crisi e dalla sua intrinseca incapacità di sdoganarsi dalla demagogia. Sconfitto Papandreou junior, sconfitto Karamanlis junior, sconfitto Samaras, sconfitto Venizelos.
Già dallo scorso dicembre gli europei avevano “scaricato” la coppia Samaras-Venizelos e avevano puntato tutte le loro carte sul volto nuovo e non compromesso di Alexis Tsipras, il quale però ha commesso lo sbaglio di cadere nella trappola preparata da Wolfang Schuaeble, il quale con teutonica razionalità redige sempre un “plan B”. Adesso, pensa il freddo ministro tedesco, non si potrà più accusare l’Europa di imporre alla Grecia misure di austerità. Il nuovo accordo, infatti, è stato redatto in toto dai greci. Loro la responsabilità delle misure. Sua, del primo ministro ellenico, la responsabilità di rimettere in piedi la Grecia. Compito difficile con questa allegra squadra di parlamentari che appartengono alla cultura politica del vecchio paradigma. Questa ricostruzione avrà un costo, oggi maggiorato dalla chiusura delle banche e dal congelamento delle attività economiche.
Che paradosso: Tsipras, per cinque mesi, ha rifiutato di firmare un accordo recessivo mentre, con le sue indecisioni, ha moltiplicato la recessione (siamo a -2%). Da oggi, si spera che ognuno paghi la crisi secondo le sue possibilità, stando a quanto sostiene la ricetta della giustizia sociale.