È nata la Grecia P.R. (post referendum). Gracile. Neanche una settimana è trascorsa e della libera scelta dei greci – imposta dal governo che si era illuso di poter uscire dalla trappola in cui si era cacciato – nessuno ne fa più cenno, soprattutto a sinistra. Il 61,31% dei “no” è stato sostituito dai 251 voti favorevoli all’accordo. In effetti, le comparsate televisive dei “syrizei” sono diminuite, e quei pochi che hanno il coraggio del confronto hanno adottato una narrazione alternativa, sempre irritante ma meno trionfalistica. Nessuno fa più cenno ai 2 miliardi di tagli richiesti, nel novembre 2014, all’allora governo Samaras, ai 7,2 miliardi che Atene avrebbe ricevuto dopo la quinta valutazione della Troika a febbraio 2015, neppure agli 8 miliardi previsti dalla bozza Juncker. Siamo alla rimozione, poi verrà il tempo dell’analisi.
Per Atene è stato redatto un “decalogo dei supplizi”: tre anni di “memorandum”, 86 miliardi, 35 di investimenti tramite il “pacchetto Juncker”, sotto tutela 50 miliardi di assets pubblici, tra cui il 10% delle azioni di Ote, la società di telecomunicazioni, cui è interessata Deutsche Telekom, che già ne possiede una consistente quota azionaria. Vendere alcuni gioielli pubblici d’accordo, ma non svendere, era lo slogan del governo. Ma secondo una nota agenzia immobiliare, sulle isole elleniche magnati russi comprano a prezzi stracciati ville e appezzamenti di terreno. Anche gli italiani stanno facendo un pensierino al riguardo. Secondo un’agenzia italiana, le informazioni per l’acquisto di una casa al mare in Grecia sono aumentate del 190%.
Atene era stata avvertita: attenti che se tirate troppo la corda, il prossimo accordo sarà più “pesante”. Gli europei hanno, purtroppo, mantenuto la parola. Alexis Tsipras torna ad Atene pieno di lividi, con accordo che è difficile definire “win-win”. Neanche il tempo di vedere la sua famiglia. Si è diretto immediatamente alla Presidenza del Consiglio per redigere la bozza della legge di un solo articolo per riformare fisco, pensioni, accesso al mercato e sistema giudiziario che dovrà presentare in Parlamento e farla votare entro questo mercoledì.
Perché un solo articolo? Per ragioni di regolamento parlamentare. Con due giorni a disposizione dovrà varare quelle riforme che per cinque anni sono state chieste dai creditori, alcune votate, ma mai applicate, e che Syriza aveva promesso di congelare. Si accenna anche alla possibilità che ad Atene venga imposta persino l’abrogazione, clausola voluta da Frau Merkel, delle tre leggi “unilaterali” votate: la rateizzazione dei debiti verso lo Stato, lo stanziamento di 200 milioni per gli strati più deboli delle società, e la riapertura della televisione di stato sotto l’insegna Ert, riapertura avvenuta a suon di grancasse e alla presenza del primo ministro, accompagnato dall’allora uomo di punta Yanis Varoufakis.
La durezza delle condizioni è la conseguenza dell’inaffidabilità dei greci che non mantengono la parola? Anche, ma è colpa pure della confusione europea a non imporre ai governi ellenici l’applicazione degli accordi firmati. Per cinque anni la Troika ha tollerato tagli orizzontali, ma non hai mai imposto riforme strutturali che avrebbero liberato i rapporti economici. “Queste misure non passeranno in Parlamento”, era la giustificazione prima di Papandreou e poi di Samaras. Tradotto in greco semplice: non possiamo votare leggi che vanno contro gli interessi corporativi delle nostre clientele elettorali.
La base da cui partirà questa Grecia P.R. sono i 251 voti a favore e i 32 voti “syrizei” voti contro. I due numeri diranno quale sarà l’evoluzione del quadro politico. Ma difficilmente si andrà alle elezioni anticipate, forse se ne parlerà quando i primi numeri diranno che la cura sta avendo i suoi primi effetti positivi. Tsipras non si può permettere il lusso di sfasciare ulteriormente il corpo sociale. Tantomeno ha in cassa un centinaio di milioni per le spese elettorali. E poi il 38% di intenzioni di voto per Syriza, dato di cinque giorni fa, non è più corrispondente alla realtà, dopo la defezione dei 32 suoi parlamentari. Magari ci sarà un radicale rimpasto, oppure nascerà un governo “di scopo”.
Finalmente, Tsipras ha capito, a forza di schiaffi e umiliazioni, che tutte le forze politiche – a esclusione delle ali estreme – devono concorrere alla soluzione della crisi. Quando vinse Jorgos Papandreou, primo ministro per diritto di famiglia, nel 2009 il suo avversario si comportò, si parla di Nea Democratia con a capo Antonis Samaras, come se la colpa del debito della Grecia fosse da imputare allo stesso Papandreou, quando il debito il primo ministro socialista lo aveva ereditato dal governo precedente di Nea Democratia, retto da un molle Kostas Karamanlis – anche lui primo ministro per diritto di famiglia -, con l’assenso dello stesso Samaras e anche di Panos Kammenos, oggi alleato di Tsipras. Se si fa un salto nel passato, Karamalis ereditò la crisi dal socialista Costas Simitis, l’ultimo rappresentate di quel pensiero “social-demagogico”, confezionato dal vecchio Andreas Papandreou, che ha calcato la scena dal 1981 al 2004.
Pur di combattere il governo socialista, Antonis Samaras si “inventò” due programmi economici alternativi di rinascita economica che non si reggevano sulla realtà dei numeri. Fece un gran baccano, vinse le elezioni nel 2012 con la promessa “Via il memorandum”. Poi qualche berlinese gli fece cambiare idea. Lo stesso sbaglio lo ha fatto Tsipras, in campagna elettorale. Ha esagerato nelle promesse pur sapendo che le elezioni le avrebbe comunque vinte. Ora il primo ministro ha capito che la crisi è della Grecia, e che è il Paese a dover essere salvato da una catastrofe.
Almeno Alexis Tsipras ha ottenuto una vittoria: come ha sempre chiesto, il problema ellenico è stato risolto con una decisione politica europea. Ritorna vincitore? Ci sono molti dubbi. Delle sue serie intenzioni ha convinto il “gigante” europeo, adesso lo aspettano i “nani” del suo partito, i ministri del “no”, i dissidenti del “sì ma non posso”, e un temibile avversario: la Presidente del Parlamento che ha votato “presente” nella votazione sul mandato a trattare l’accordo. Lei ha già fatto sapere che non si dimetterà, e sicuramente applicherà il regolamento parlamentare per sabotare l’azione di governo. Sfiduciarla? Non è una decisione immediata. Stando al regolamento la richiesta di sfiducia prevede un dibattito di tre giorni. Ore preziose che Tsipras non può permettersi di sprecare. Duello rimandato.
Il direttore di un quotidiano avrebbe dovuto partire oggi per accompagnare un ministro nella sua missione in alcuni Paesi balcanici. Preferisce restare ad Atene. “Tha ghinis tis putanes!”, ha affermato. È un’espressione colorita per dire che nei prossimi giorni potrebbe succedere di tutto. Anche episodi violenti che infiammerebbero il centro città. Domenica sera, durante l’euro-summit, un migliaio di anarchici – manganello e cappuccio d’ordinanza – hanno occupato Piazza Sintagma. Sono stati tranquilli, ma si sono dati appuntamento per mercoledì, quando il Parlamento dovrà votare le prime misure.
P.S.: Quando alcuni giornalisti esperti di cose elleniche scrivevano i loro “peana” in onore dei due giovani apollo ellenici, Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, analisti politici ed economisti hanno iniziato a ritirare i loro risparmi dai conti correnti. Significativa la giustificazione di un ex diplomatico palestinese e di un analista finanziario. Entrambi dissero: chi la letto le analisi di Yanis Varoufakis (vedi protagon.gr, ndr) sulla crisi ellenica e sulla strategia della vittoria contro i “terroristi” (di Varoufakis la definizione) europei ha un’unica scelta razionale, aspettarsi il peggio. Entrambi hanno prosciugato i loro conti. Hanno affittato una cassetta di sicurezza. Ma oggi le banche sono ancora chiuse e non hanno accesso al loro capitale. Meglio il materasso dunque, come facevano i nonni. Quei 40 miliardi nascosti, secondo stime, ritorneranno a circolare? Forse, ma non domani.