Serviva la verifica per rendere pubblica questa notizia. È arrivata indirettamente dallo stesso ex ministro delle finanze, Yanis Varoufakis. Un amico diplomatico mi aveva confidato, prima del referendum del 5 luglio, che mercoledì 24 giugno era arrivata alle Ambasciate in Atene un “non paper” in cui si avvertiva il corpo diplomatico che il lunedì successivo, 29 giugno, le banche sarebbero rimaste chiuse e si sarebbe applicato il “capital control”. Lui, come tanti suoi colleghi, ha avuto due giorni a disposizione per ritirare un po di contanti.
Il contenuto della lettera sta a dimostrare che era già stato programmato il ricorso al referendum, prima ancora della rottura delle trattative nel fine settimana (27 giugno). L’interruzione delle trattative era soltanto una foglia di fico da dare in pasto ai media, e quello sbattere le porte e interrompere i colloqui erano dunque soltanto la scusa per giustificare di fronte all’opinione pubblica l’appello per il “no” al referendum.
Yanis Varoufakis in un’intervista al giornale inglese “Newstateman” ha esposto la sua strategia quale responsabile delle finanze. D’accordo, secondo Varoufakis, con il primo ministro e il vice primo ministro, si stava programmando l’uscita dalla zona euro, prima chiudendo gli sportelli bancari, poi introducendo una moneta parallela tipo Iou (“I owe you”, in pratica una cambiale) e poi iniziando a stampare carta moneta. Nessuna smentita dal governo. Un deputato di “To Potami” aveva denunciato, in quei giorni, alcuni strani movimenti dei responsabili della zecca dello Stato, ma era stato preso a sassate e accusato di essere un catastrofista.
Ovviamente le dichiarazioni di Varoufakis hanno suscitato enorme scandalo. D’altra parte, suo malgrado, è diventato la “vittima sacrificale” di tutti quanti gli sbagli commessi dal governo. E anche le sue invettive contro Alexis Tsipras e il suo fare il paragone tra l’accordo raggiunto e il “Trattato di Versailles” (1919) e il colpo di stato dei colonnelli (“allora vennero usati i carri armati, oggi hanno usato le banche”) hanno una loro spiegazione logica: il primo ministro gli ha sequestrato il giocattolo.
Poi qualcuno ha fatto due conti della “cura” Varoufakis. Nel bilancio del 2015 era previsto un tasso di sviluppo del 2%, si è arrivati al 3% di recessione. La chiusura delle banche ha registrato una perdita di 5,5 miliardi del reddito nazionale. Il blocco dei crediti dello Stato verso i privati ha sottratto dalla circolazione più di 3,5 miliardi. Il debito dei privati verso lo Stato, nonostante la legge sulle cento rate, supera i 6,5 miliardi. Le entrate fiscale hanno creato un buco di 2,3 miliardi Sono stati ritirati, per paura, circa 40 miliardi dai conti. I debiti privati in sofferenza verso le banche hanno superato i 100 miliardi. A questa somma vanno aggiunti 20.8 miliardi di fondi che le “istituzioni”, qualora il 20 febbraio si fosse raggiunto un accordo per la chiusura del secondo Memorandum, avrebbero versato. Più i 10 miliardi di differenza tra le richieste della Troika nel dicembre 2014 (misure per 2 miliardi) e l’attuale accordo sui tagli e sui vari aumenti (12 miliardi).
In breve, l’ex ministro ha ammesso che la sua strategia, a fronte delle richieste dei creditori, era il possibile ritorno alla dracma. Bella scoperta: era sufficiente aver seguito il suo blog. Già nel 2010 aveva specificato i punti della sua strategia. L’aveva esposta anche all’allora primo ministro Jorgos Papandreou, di cui era consigliere economico? E non è detto che non sia stato lui a suggerirgli, nel 2011, l’ipotesi di un ricorso al referendum. Sappiamo come andò a finire la strategia. Papandreou venne “bastonato” da Merkel e Sarkozy, e ritornò da Cannes con le pive nel sacco.
Del recente referendum non ne parla più nessuno. Neppure i “syriezei”, i quali, spaventati per prossimo futuro del governo Tsipras, si richiamano ora alla fiducia che il popolo ellenico ha riposto in loro nelle elezioni di gennaio.
Per ritornare a Varoufakis, nell’intervista racconta di aver messo in piedi nel suo ministero una squadra di cinque collaboratori, un “consiglio di guerra” (perché di “guerra” si trattava, secondo lui), che doveva studiare tutte le mosse per portare il Paese alla Grexit. Parole poi confermate in un’intervista radiofonica. Poi ha concluso: “Non abbiamo mai avuto il mandato di mettere in pratica questa ipotesi. Il piano era sulla carta, ma non ha mai ottenuto il via libera”. Dunque, stando a Varoufakis Atene aveva lavorato a un “piano B” che andava ben oltre all'”ampio mandato popolare” ricevuto e usato per sei mesi dal governo quale decisione di non decidere.
D’altra parte non era stato lo stesso Alexis Tsipras a sostenere, prima delle elezioni, che “l’euro non è un feticcio”?