Il nuovo contro il vecchio, per usare la terminologia di Tsipras. Il radicale contro il moderato, per usare la terminologia di Meimarakis. Un dibattito televisivo senza esclusioni di colpi, impensabile soltanto alcuni mesi fa. Scontro all’arma bianca, ma tra i due scorre una vena di simpatia che potrebbe portare a risultati positivi. Entrambi sono d’accordo soltanto sul fatto che il contratto del Memorandum III debba essere onorato.
Tsipras ha costantemente ribadito che il dilemma per i greci è uno solo: vogliamo una Grecia dei pochi o una Grecia dei tanti? Per Meimarakis la strategia è sempre la stessa: un governo di unità nazionale che possa portare il Paese fuori dalle secche della recessione. Di un governo con i conservatori l’ex primo ministro non ne vuole discutere, perché non si possono conciliare le idee della sinistra con quelle della destra che ha portato il Paese alla catastrofe. Tra chi ha “resistito” alle pressioni dei creditori e tra chi ha sempre detto loro “sì” non ci può essere intesa politica. Non solo, ha insistito sul fatto che il suo governo è riuscito, dopo sette mesi di “dure trattative”, a strappare un accordo ragionevole e meno gravoso e che lui ha saputo dire “no” ai creditori. Ma non ha mai usato la parola “memorandum”, preferendo definirlo “ciò che abbiamo firmato”.
In alcuni punti ha smentito ciò che aveva riferito al Parlamento, alcuni mesi fa. Il presidente di Nea Democratia lo ha incalzato, a volte con l’ironia, a volte con freddezza. Gli ha ricordato gli sbagli e le false promesse. Non poteva però ringraziarlo pubblicamente del favore ricevuto. Il suo partito, dato per moribondo, ha ripreso a macinare consensi e si aspetta un risultato insperato.
Comunque non hanno scoperto le loro carte. E poi quali carte segrete? La “road map” della Grecia è già stata scritta. Inutile sostenere, come fa Tsipras, che alcuni suoi punti possono essere ridiscussi. Da Bruxelles hanno fatto sapere che quanto è stato sottoscritto va applicato e che non ci sono molti margini di modifiche. Da Berlino invece si chiede ai greci di decidere se vogliono continuare a restare nell’euro o no.
Entrambi i leader ne sono consapevoli, quindi la loro campagna elettorale è tutta basata sulla raccolta di voti di “simpatia”. Pochi credono alle analisi politiche di Tsipras sui suoi sette mesi di governo, altrettanti pochi credono che i conservatori si siano trasformati in moderati e che abbiano abbandonato la loro cultura politica. Entrambi gli schieramenti sono alla caccia dei voti degli indecisi. Il 40% a gennaio ha votato Syriza. Molti di questi si tureranno il naso e voteranno ancora per Tsipras. Decisi e indecisi sono comunque certi che il 21 settembre la Grecia inizierà un nuovo paradigma storico, per il momento ancora ignoto. Nei tre mesi successivi dovranno mettere la mano nel portafoglio e iniziare a pagare.
Gli ultimi sondaggi danno i due partiti alla pari. Saranno i circa 30 mila giovani che voteranno per la prima volta a determinare il risultato? Nessuno ne parla, ma il segreto desiderio di molti intervistati sarebbe quello di avere un governo di unità nazionale, che avrebbe la garanzia di stabilità per almeno i prossimi tre anni. Un governo di centro-sinistra (Neo-Syriza, socialisti, moderati di “To Potami” e magari i “Greci Indipendenti” qualora il partito riuscisse a superare la soglia del 3%) rischia di avere una maggioranza risicata in Parlamento, che potrebbe anche diventare minoranza, qualora ci fosse da votare misure impopolari.
Il punto debole di questa ipotesi resta sempre il partito di Tsipras. Le elezioni anticipate sono servite a espellere dalle liste i “duri e puri”, ma oggi nessuno può garantire che i tutti i futuri parlamentari siano in sintonia con la “road map” delle riforme e dei tagli. E ci potrebbero essere altre defezioni in corso d’opera. A scorrere l’elenco dei candidati, oltre ai soliti personaggi – alcuni di loro come ministri non hanno certo brillato per iniziative riformatrici – si leggono alcuni nomi che hanno, nel tempo, espresso idee piuttosto inquietanti ed erano contrari al Memorandum che poi hanno votato. Ad esempio, i componenti del “gruppo 53”, di cui fa parte anche l’ex ministro delle Finanze, Efklidis Tsakalotos, i quali sicuramente reagiranno quando si dovranno tagliare pensioni e stipendi, privatizzare e tassare gli agricoltori). Misure che giudicano non conformi alle loro idee di sinistra. Quindi i pericoli di ricatti sono ancora presenti.
Neppure Tsipras ha chiarito la sua posizione, tantomeno ha dimostrato di tenere in pugno il partito. In altre parole la “patologia” del vecchio Syriza non è stata curata. Se da un lato sostiene che l’accordo va rispettato, dall’altra continua nella sua retorica “radicale”. Parafrasa, cioè, la strategia elettorale di gennaio: recuperare voti d’opinione di centro-sinistra ed evitare emorragie a sinistra. E lascia parlare alcuni candidati i quali sostengono che il loro governo attuerà un “programma parallelo” al Memorandum.
A gongolare del risultato delle elezioni sarà soltanto Nea Democratia. Tsipras gli ha fornito una nuova “verginità”. E da partito che ha contribuito al crollo dell’economia del Paese oggi si ritrova a garantirne il futuro. Dovrà comunque mutare la sua pelle e rinnovare la sua cultura politica. Con i personaggi che sono stati inseriti in lista c’è poco da sperare, a meno che Meimarakis, con quel suo fare pacioso e ironico, non sappia ridurre al silenzio i tirapiedi dei “camini”, cioè le lobby che impediscono lo sviluppo del Paese.