ATENE — “Cremazione, patto di convivenza tra omosessuali: queste sono le tesi dell’attuale governo Samaras che tassa soltanto la fede ortodossa. Qui i buddisti, gli ebrei e i musulmani non sono tassati, mentre si tassa la Chiesa Ortodossa e la proprietà dei monasteri è in pericolo”, ebbe ad affermare Panos Kammenos a dicembre 2014, oggi alleato di Tsipras e ministro della Difesa. Il giorno seguente il Consiglio israelitico di Grecia emise un comunicato piuttosto duro nei suoi confronti. Lo stesso Consiglio protestò contro una fotografia che Dimitris Kammenos, un omonimo del ministro, parlamentare di Anel (Greci Indipendenti) e un suo commento pubblicati sulla sua pagina Twitter.
D. Kammenos aveva postato, pochi giorni prima del referendum del 5 luglio, una foto del cancello del campo di concentramento di Auschwitz dove la famosa frase “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”) era stata sostituita da “Restiamo in Europa” (la foto la trovate a fondo pagina). La didascalia riportava: “Restiamo in Europa, dicono, a qualunque costo. Portate e firmiamo tutto, dicono. Dico, a condizione che ne paghino il costo”. Di più. Sempre in un tweet, definì Alexis Tsipras un “criminale”. Ma era il 2013, tempo in cui né i nazionalisti ortodossi, né i radicali di sinistra, entrambi all’opposizione, immaginavano che due anni dopo avrebbero camminato a braccetto.
Non era la prima volta che Dimitris Kammenos manifestava pubblicamente il suo anti-semitismo, la sua omofobia e il suo razzismo. Alexis Tsipras sembra che non se ne sia accorto, o forse ha dovuto subire le decisioni del suo prezioso alleato, Panos Kammenos. Ovviamente poi ha scaricato la responsabilità di questa scelta inopportuna sul suo fedele alleato. In sintesi, Dimitris è stato nominato vice-ministro a infrastrutture e trasporti. Ma per poche ore. La sua scelta ha scatenato violente polemiche in Syriza e nell’opinione pubblica che hanno costretto Panos a “dimetterlo” via Twitter. Dimitris ha cercato di resistere alle pressioni adducendo che la sua pagina è stata “violata” per ben quattro volte, o che forse la colpa va attribuita a uno dei suoi “quindici collaboratori”. C’è da chiedersi il perché non abbia denunciato per tempo questa violazione.
Le sue dimissioni seguono di poche ore il malumore espresso da un suo collega parlamentare che ha protestato affermando che gli era stata promessa una poltrona governativa. Promessa non mantenuta dal suo presidente Panos Kammenos perché lo stesso Tsipras aveva posto il veto. Motivo: il candidato fece alcuni mesi fa dei volgari commenti sull’omosessualità di un primo ministro europeo. Ma le polemiche non finiscono qui. Molti “syrizei” non hanno gradito che Markos Bolaris, un ex ministro di George Papandreou, sia entrato nel governo. “Persone con queste posizioni non hanno posto in qualsivoglia governo democratico, tantomeno in un governo di sinistra”, hanno scritto. E ancora non si sono pronunciati sul possibile sostituto di Dimitris Kammenos. Il presidente di Anel avrebbe fatto il nome di un ex deputato socialista.
Comunque sia il danno è fatto. D. Kammenos è stato costretto alle dimissioni, ma il danno di immagine del governo Tsipras è compiuto. E poi se questo è il “nuovo” della politica ellenica, il primo ministro corre il rischio di non andare molto lontano, era il commento di diversi quotidiani. Restano alcuni interrogativi. Quando il governo dovrà legiferare su materie sensibili, quali il patto di convivenza, la cittadinanza ai figli degli immigrati, la scuola, i rapporti tra Stato e Chiesa, avrà la maggioranza oppure i neo-nazionalisti si dissoceranno? È già successo a maggio scorso, ma nessuno ha data molta importanza a quella momentanea frattura, l’attenzione era tutta rivolta alle trattative. Adesso, con la firma del Memorandum III, il governo dovrà concentrasi sulla politica interna, e non è detto che tra i due partiti non si possano verificare serie fratture. Avevano uno scopo comune, adesso le due ideologie troveranno una strategia comune?