È in un “cul de sac”. Questa è, al momento, l’unica certezza con cui il governo deve fare i conti. Le sue promesse, le sue “linee rosse”, le sue strategie per uscire dall’assedio dei creditori si sono rivelate un accerchiamento da cui Tsipras sembra incapace di uscire. Elezioni anticipate? Come ha suggerito il suo alleato di governo? Un ricatto già sperimentato dai precedenti governi che è stato pagato poi a caro prezzo. Anche questa volta, quando la Borsa di Atene ha suonato il campanello d’allarme riallineandosi sulle percentuali del 1989. Ritorna lo spettro della Grexit? Per alcuni analisti la minaccia non è mai rientrata, ma solo spostata nel tempo.
Sembra chiaro che le baruffe di Tsipras nel primo semestre dell’anno scorso stanno, purtroppo, dando i loro primi risultati negativi, a cominciare da un buco di bilancio del 2015. Dunque altre misure – ancora non è chiaro di quale ordine. E chi pagherà? Altrettanto evidente che la riforma del sistema previdenziale non piace né ai greci, tantomeno ai creditori – non si sa nulla di come la pensi la maggioranza dei “syrizei” -, i quali criticano la “architettura” della riforme e chiedono al governo tagli sostanziosi, quando il suo ministro del lavoro, Katrugalos, spande su tutti i canali la sua formula: “Niente tagli alle pensioni, è la nostra linea rossa”.
La Troika è rimasta una settimana usando soltanto la matita rossa per sottolineare le proposte del governo. E ancora non è stabilita la data del suo ritorno. Anzi, da Bruxelles fanno sapere che senza proposte concrete da parte del governo non ci sarà alcun ritorno per il prosieguo delle discussioni. E senza accordo con la Troika – o quartetto – su pensioni e regime fiscale non si arriverà alla prima “valutazione” (“review” coma le definiscono a Bruxelles), senza il verde europeo non si sbloccherà un’ulteriore tranche di finanziamento, e a luglio Atene dovrà far fronte al pagamento di circa 3,6 miliardi. Il ministro delle Finanze ha già messo le mani avanti: “Se la valutazione ritarderà di alcuni mesi – maggio, giugno – siamo perduti”. Appunto, come già pronosticava qualcuno a giugno avverrà il “redde rationem” del governo Tsipras. Per quella data si avranno più elementi per capire se Tsipras sarà un’anatra zoppa oppure potrà continuare a governare.
I ritardi, le valutazioni errate, l’illusione che le trattative “tecniche” potessero essere eluse da quelle “politiche” hanno spianato la strada a questo impasse generale, con la società che sta sul piede di guerra. Indubbiamente la riforma delle pensioni poteva essere votata a ottobre scorso, ma il governo, per ragioni ideologiche, ha preferito rimandare. E i fronti aperti sono parecchi: proteste, strumentalizzate anche dai neo-nazisti, per la costruzione degli hot spot per i migranti (dovevano essere pronti a ottobre). Il ministro all’Immigrazione è stato chiaro: “Nel prossimo vertice europeo è possibile che si decida per la chiusura dei confini”. E poi liberi professionisti (purtroppo buona parte di loro sono “evasori sistematici”) in attesa di nuove proposte per il loro regime fiscale, e poi gli agricoltori (stando alle loro dichiarazioni dei redditi “ufficialmente poveri”). Questi stanno paralizzando le attività economiche del Paese con blocchi stradali che impediscono la circolazione stradale. E venerdì prossimo arriveranno ad Atene con l’intenzione di paralizzare la capitale. Sono i più delusi da questo governo, il quale aveva promesso loro – è indicativo uno spot di Syriza per le elezioni del gennaio scorso – facilitazioni e privilegi. “Non abbiamo nulla da darvi, siete degli egoisti”, fa sapere agli agricoltori il governo, che li accusa di non voler avviare un dialogo.
Che farà il governo? Impedirà la “marcia su Atene”? Permetterà la passerella per le strade del centro? Sembra che sia intenzionato a bloccare la discesa sulla capitale. Comunque per il momento l’iniziativa è degli agricoltori. Hanno ragione? In parte, se si pensa che le promesse loro fatte sono state tutte disattese, ma per la gran parte stanno protestando perché non vengano aboliti i loro privilegi. Il direttore dell’Esm, Klaus Regling, si è chiesto il perché la Grecia non sia ancora uscita dal programma di finanziamento, mentre altri Paesi ne sono già fuori. Il perché? “La Grecia è un Paese che non vuole cambiare, tantomeno rinunciare ai privilegi finora pagati con soldi europei”, scrive un noto analista.