Da domani si ricomincia a discutere di riforme. Da una parte il governo ellenico, dall’altra la Troika. Non saranno discussioni animate, tantomeno dei colpi di scena. È stabilito che Atene dovrà imporre delle misure e tagli pari a 5,4 miliardi di euro nel triennio 2016-2018 per raggiungere l’obiettivo di un avanzo primario del 3,5% del Pil entro il 2018. Restano da stabilire le percentuali di tagli alle pensioni, dell’aumento delle tasse, ma soprattutto il futuro dei crediti bancari in sofferenza. Poi seguirà la riunione dell’Eurogruppo del prossimo 22 aprile che dovrà valutare lo stato delle cose. Resta anche da stabilire se i “syrizei” voteranno compatti. È molto probabile che tutti i parlamentari, nonostante i mugugni, si adegueranno. E come voterà l’opposizione? Il governo ammette che “questo pacchetto comprende misure draconiane”, e aggiunge che ci sono le condizioni per cui il Paese entrerà nel circolo virtuoso dello sviluppo nel secondo semestre di quest’anno. Su quali parametri si basa questo ottimismo non è dato sapere, considerando che tutti gli indici economici scivolano verso il basso.
Ormai i greci si sono cauterizzati. Sanno che dovranno pagare altre gabelle, ammettono che la luna di miele con il governo di sinistra è finita con una cocente delusione. Lo verifica anche un sondaggio, svolto dall’Università di Macedonia (Salonicco). Le intenzioni di voto danno Nea Democratia, i conservatori, al 24,5%, mentre Syriza è al 16,5%. Il 50,5% è sicuro che le prossime elezioni verranno vinte dai conservatori, l’87,5% non è soddisfatto del lavoro del governo e il 66% giudica negativamente il suo comportamento verso il problema dei profughi.
Ecco un altro grattacapo per il governo. Chi è arrivato sulle sponde elleniche dell’Egeo aveva un solo obiettivo: quello di raggiungere un Paese europeo che gli garantisse la sopravvivenza. Invece i profughi restano bloccati in Grecia e di conseguenza si stanno agitando. Al punto che si è arrivati alle mani e ai coltelli tra siriani e afgani a Pireo, si è arrivati a distruggere strutture mediche a Chios. Il timore di venire espulsi forzatamente in Turchia fa montare la tensione tra i profughi trattenuti nell’hotspot dell’isola, costato 845mila euro, ma costruito dall’esercito (è quanto denunciato da Stavros Theodorakis di “Potami”). Scontri sono scoppiati all’interno del campo, fino all’intervento della polizia. Bilancio finale, almeno 10 feriti. Secondo fonti locali, circa 700 persone si sono messe in marcia per cercare di evitare il rimpatrio. Ma tanto a Chios quanto a Lesbos la situazione continua ad aggravarsi, con nuovi arrivi quotidiani e chi rifiuta di salire sugli autobus con destinazione un centro di raccolta. Era prevedibile che la delusione di restare bloccati in Grecia si sarebbe trasformata in rabbia.
Sui migranti vale la pena di riferire un episodio e una dichiarazione. L’episodio. Un agricoltore di Idomeni ha deciso di sloggiare i “campeggiatori” abusivi che vivono sul suo terreno. Per convincerli a smobilitare è salito sul suo trattore e ha iniziato ad arare il suo campo. Ha giustificato la sua mossa come il bisogno di coltivare la sua proprietà. Va però aggiunto che lo stesso agricoltore per almeno tre mesi si è “inventato” un altro mestiere: quello di distributore di panini e bibite – ovviamente in maniera illegale, senza alcun permesso e con evasione totale. La dichiarazione del vice-ministro degli Esteri: “Se qualche siriano ha più di 250 mila euro da investire nel nostro Paese otterrà delle agevolazioni per il rilascio del permesso di soggiorno”. Un siriano con il malloppo? Un siriano che voglia investire in un Paese in crisi? Apriti cielo! Ed è arrivata una cataratta di commenti sui social – sembra diventata l’unica forma di protesta sociale. Battute e ironie. La più significativa? Tsipras che afferma: “I asked them if they are serious investors and they answered yes we are Syrious”.
Battute da “bar sport” che fanno da contraltare alla magniloquenza della fraseologia immaginifica della politica, la quale sembra aver perso il contatto con la realtà di oggi e la cronaca di ieri. Così si registra anche un’inquietante dichiarazione dell’ex Governatore della Banca Centrale di Grecia, Jorgos Provopulos. In sintesi: nel maggio del 2008, il rappresentate Fmi in Grecia aveva calcolato che il debito generale dell’economia ellenica toccava l’800% del Pil, e soltanto il sistema pensionistico raggiungeva il 400%. “Lo abbiamo pregato – aggiunge Provopulos – di non pubblicare la sua relazione per paura di creare panico”. “Questa era la realtà e abbiamo fatto finta di niente”.
Sul futuro l’ex Governatore è pessimista: “Avremmo dovuto fare ciò che è non stato fatto. E come se si fosse entrati in un campo minato e non possiamo uscire”. E se si fossero fatte le riforme, la Grecia avrebbe potuto uscire dalla recessione in due o tre anni, avrebbe perso il 10-13% del Pil rispetto all’odierno 26%. Abbiamo necessità di investimenti, dice Provopulos, e non di aumento delle tasse.
Sulle sue rivelazione del 2008 e sulla censura circa la catastrofe economica in arrivo – era allora al governo il conservatore Kostantinos Karamanlis, il giovane – non ci sono stati commenti. Il dibattito politico è altrove. Dove? L’agenda politica offre e prevede soltanto discussioni parlamentari accademiche in cui i due “monomachi” (gladiatori) se le cantano di santa ragione, a uso e consumo dei caratteri cubitali dei quotidiani. E le dimissioni del viceministro alle politiche migratorie Yannis Muzalas, chieste a gran voce dal piccolo alleato Panos Kammenos? Non se ne parla più. Il viceministro resta al suo posto, mentre il ministro della Difesa, Kammenos, analizza il sondaggio che dà al suo partito “Greci Indipendenti” una percentuale del 2,5%, quindi fuori dal Parlamento.