Stressato dall’insistenza del giornalista, un ministro ha candidamente ammesso: “O tagliavamo gli stipendi (del pubblico impiego, ovviamente, ndr), oppure aumentavamo le tasse”. Tagliare gli stipendi nel settore pubblico per il governo è come tagliarsi le vene, e deludere lo zoccolo duro dei votanti. Anzi, secondo l’ufficio europeo di statistica, nell’ultimo anno è aumentato del 4% e qualcosa il costo orario nel pubblico, mentre è diminuito del 3% e qualcosa il costo orario nel settore privato. Nel vocabolario politico di Syriza non è contemplata l’economia privata, la quale nell’ultimo anno ha subito una notevole contrazione.
Dunque aumentare le tasse indirette e la pressione fiscale. Ad esempio un libero professionista è costretto a versare il 53% dei suoi introiti lordi. Quanti alla fine del 2016 hanno chiuso i libri contabili e sono stati reclutati per il lavoro nero. Oggi tutto è sospeso: quando avverrà la seconda valutazione – necessaria per accedere al Qe della Bce che darebbe respiro alle banche -, quando il Fmi deciderà la sua posizione – dentro o fuori -, quando il governo capirà che senza un impulso all’iniziativa privata non ci sarà sviluppo. Ma da quell’orecchio l’esecutivo è sordo.
Eppure, nelle narrazione del governo, la seconda valutazione doveva concludersi entro i primi di dicembre 2016. Del perché di questo fallimento le versioni sono diverse. Fatto sta che si sta assistendo al solito balletto o rimpallo di responsabilità. La cosa certa è che le relazioni tra Atene e il resto dell’Eurozona sono tornate a essere tempestose, e nell’Ewg di giovedì scorso non è emerso nulla di concreto. Tranne le dichiarazioni fiduciose del ministro delle finanze Efklidis Tsakalotos, il quale sperava di ottenere un “mandato politico” per il ritorno della Troika ad Atene. Proposta respinta in ragione del fatto che “prima si deve trovare una convergenza politica sui temi dei rapporti di lavoro, dell’energia, ma soprattutto le misure da prendere nel 2018, quando terminerà il terzo memorandum. Si calcola lo 0,4% del Pil. Ma nella riunione dell’Ewg è emerso un altro grigio scenario. I tedeschi hanno chiarito che Berlino vuole il coinvolgimento del Fmi, in caso contrario Atene dovrà discutere con gli europei per un nuovo accordo che prevede pesanti tagli. In altre parole, Atene è caduta nella trappola tedesca.
La ragione di tanta incertezza è stata l’improvviso cambio di direzione politica di Atene, cioè un colpo d’ala radical-populista: distribuire 617 milioni ai pensionati con basso reddito. Sul pagamento del bonus ai pensionati il ministro delle finanze ha detto: “Abbiamo pensato fosse una buona idea”. Alla fine la Grecia ha raggiunto un surplus di bilancio superiore a quello concordato con i creditori esteri. E si è pensato fosse giusto che ad approfittare di questo risultato fosse chi in questi anni ha dovuto sopportare il peso delle riforme. Gli obiettivi di bilancio “non sono a rischio”. Tsipras era stato chiaro: non chiederemo a nessuno “il permesso di dare questi soldi ai più bisognosi”, ha affermato. Così “rivoluzionario” Tsipras finora lo era stato solo una volta – nella primavera del 2015. Allora da solo aveva scatenato una lotta fra poteri, che si stava per concludere con il fallimento della Grecia. “O con la società o con Schäuble”, titolava il giornale di Syriza. Poi Tsipras è andato oltre, scegliendo lo scontro anche con il Fmi, finora presente in tutti i piani di salvataggio per la Grecia. Li ha accusati di essere “dei folli che non riescono ad avere i loro numeri sotto controllo”.
Sarà pur vero, ma fino a quando il Fondo non pubblicherà la sua analisi sull’economia ellenica, tutto resterà nel torbido. Si aspetta che si sciolga la neve che ha trovato impreparata la macchina organizzativa – Salonicco è ancora bloccata con poca acqua e niente metano nelle tubature, i profughi hanno patito freddo e gelo in tende estive. Si aspetta che da Ginevra i colloqui tra le due comunità di Cipro giungano a un qualche accordo.
Aspettando le alzate di capo di Tsipras e le bastonate di Schauble, la Grecia è entrata nel settimo anno di crisi. Un dato è certo: questo governo non ha il coraggio di avviare riforme radicali, tantomeno liberare le dinamiche dell’iniziativa privata.