TERZA GUERRA MONDIALE. Molti osservatori politici e giornalisti di grido (su Repubblica) ritengono che la durezza americana nei confronti dei russi sia sintomo dell’impreparazione di Trump costretto a riconoscere la fondatezza della linea di Obama su Mosca. Ma questa lettura soffre di un’impostazione ideologica che si sforza di leggere un fatto di politica internazionale con gli occhi di una campagna elettorale mai finita.
Gli Stati Uniti e non Trump hanno bisogno dell’appoggio russo in sede Onu per sbloccare il dossier coreano. Le posizioni della Russia di Putin e della Cina di Xi Jinping tuttavia ricalcano gli atteggiamenti dell’Unione Sovietica e della Cina maoista a distanza di settant’anni dal conflitto fra le due Coree.
E le ragioni non sono ideologiche ma geopolitiche. Nessuno dei tre grandi è disposto a mutare la propria postura nello scenario del Pacifico. Washington deve garantire Tokyo. Pechino ha strategicamente bisogno di Pyongyang. Mosca non può rinunciare ad essere ago della bilancia per i destini di quelle aree che reggono la partita dell’Estremo oriente. E se Mosca non cambia posizione, la tensione con gli americani è destinata a crescere. Non con la riduzione dei diplomatici russi in un consolato come quello di San Francisco. Ma per esempio con l’aumento dei soldati a stelle e strisce in Afghanistan. Dove per lungo tempo hanno stazionato i sovietici…
Ma questa è un’altra storia. O forse è la stessa! “Non si è mai giocata due volte la stessa partita” sono soliti dire i coreani. E se non si fosse mai smesso di giocare?