Un attentato inaspettato, anche perché avvenuto in una zona, quella di Sweida, che in questi anni di guerra sanguinosa era stata una delle meno coinvolte. Uno o due kamikaze si sono fatti saltare in aria in un mercato della città di al Suwayda, quante siano le vittime ancora non si sa, ma si parla di un bilancio devastante: tra i 90 e i 150 morti. L’Isis ha rivendicato la strage, il che, dopo che la guerra sul territorio è stata dichiarata vinta da Damasco e Mosca, fa pensare all’inizio di una nuova strategia, attentati kamikaze come succede da anni in Afghanistan e in Iraq. Ne abbiamo parlato con l’inviato di guerra Gian Micalessin.
Un attentato di queste proporzioni dopo che l’Isis è stato sconfitto a livello militare, significa l’inizio di una nuova stagione, quella delle stragi di civili con gli attentatori suicidi?
Non esattamente. Il problema è che permangono sacche dell’Isis contro le quali ancora non si è potuto portare a termine una offensiva determinata come quelle fatte in altre zone. In particolare il regime di Assad e i russi si sono impegnati a liberare zone più importanti, e non è cominciata ancora un’offensiva contro queste sacche anche perché spesso si trovano in zone desertiche e di scarsa importanza territoriale. Proprio da qui però partono attacchi suicidi come quello a cui abbiamo assistito.
Questo vuol dire che gli attentatori sono liberi di muoversi per il paese?
Purtroppo sì, le sacche dove l’Isis ha ancora delle basi sono diverse, ce ne sono anche nella zona nord, quella controllata da americani e curdi. La lotta è tutt’altro che finita.
In uno scenario come questo, che rischia di diventare come quello dell’Afghanistan, i russi continueranno a rimanere in Siria?
Certo, anzi stanno svolgendo una funzione fondamentale nei territori che sono preziosi per il governo. Manca ancora un’offensiva nella zona di Idlib che sarà particolarmente complicata perché al confine con la Turchia, ma svolgono una funzione essenziale. I russi ad esempio si sono fatti garanti per tenere a distanza dal confine israeliano le milizie iraniane. L’Isis è il problema minore, quello maggiore è allontanare da zone importanti, come ad esempio quella al confine israeliano, i ribelli e al Qaeda.
Per cui una strage come questa va messa nel conto di una guerra?
Purtroppo sì, è la contabilità di una guerra feroce e sanguinaria.
Trump da tempo non dice più nulla sulla Siria, come mai secondo te?
Tutt’altro, sembra se ne sia occupato molto al vertice di Helsinki dove si è arrivati a un accordo con Putin.
Cosa implica l’accordo tra i due?
Sostanzialmente Trump, dico lui almeno perché sappiamo quante divisioni ci sono all’interno della amministrazione americana, ha accettato che la Russia di fatto appoggi il regime e la sopravvivenza di Assad. Ci stiamo avviando verso la cosiddetta “Pax Russica”, la pace russa, per gran parte della Siria.
Mentre gli americani rimarranno nelle zone da loro controllate?
Gli americani per il momento restano lì anche se Trump dopo l’addestramento delle forze curde ha detto più volte che vuole il ritiro dei suoi soldati. Anche di questo hanno parlato i due, e anche dell’atteggiamento da tenere nei confronti della Turchia, alleato scomodo per entrambi viste le ambizioni di Erdogan verso la Siria. Trump e Putin vorrebbero ridurre queste ambizioni escludendo la Turchia dalle zone curde e bloccandone l’avanzata verso le zone controllate dagli americani.