Master Gardener
Si celebra in questi giorni la carriera di Paul Schrader, regista e sceneggiatore di lunga data (“American Gigolò” il suo film più famoso, oltre alle sceneggiature di “Taxi driver “e “Toro Scatenato”, per la regia di Martin Scorsese). A Venezia porta “Master Gardener”, uno tra i film più interessanti visti finora.
La storia ci porta all’interno di un meraviglioso e rigoglioso giardino, coltivato con cura e professionalità dal pacato e silenzioso giardiniere Narvel (interpretato da Joel Edgerton) al servizio di una ricca e anziana vedova della Louisiana, la gelida signora Haverhill (Sigourney Weaver).
Narvel è dedito in modo ossessivo al suo lavoro, con risultati che lo premiano e che gli fanno meritare la fiducia della sua pretenziosa datrice di lavoro, con cui sembra aver trovato un proprio equilibrio. Quando la donna gli chiede di formare una giovane apprendista (Quintessa Swindell), sua lontana parente, l’equilibrio si rompe, lasciando riaffiorare un inquietante passato di violenza e devianza.
La prima parte del film lascia spazio alla poesia della natura, all’infinita simbologia del giardinaggio che è metafora della vita. Richiede regole, costanza, impegno, ma lascia spazio all’imprevisto, con eventi avversi che possono cambiare tutto in un attimo. E il giardino, così come l’essere umano, porta con sé un naturale istinto di sopravvivenza, che rende possibile qualunque rinascita.
Ma niente è come sembra e l’arrivo della giovane Maya apre la via a un’altra storia, che cambia la natura del film, il suo ritmo e la sua stessa estetica, riportando al centro il tema della colpa e dell’espiazione, tanto caro al regista.
Due film in uno che trovano perfetta armonia tra di loro grazie alla capacità di Schrader e degli interpreti di trasformarsi, per fare spazio a quella misteriosa inquietudine che aleggia, fin dall’inizio del film, nascosta tra la pace apparente della natura.
In sala Grande, a Venezia, la commozione di Paul Schrader, settantaseienne, si accompagna all’applauso del pubblico, che sembra riconoscere il valore di quest’uomo e anche di questo film che, con abile misura, ci racconta di quell’estremo bisogno d’amore che nessuno di noi può soffocare per sempre.
Applausi, meritati, anche per tutto il cast, tra cui spicca lo spietato snobismo dell’iconica Sigourney Weaver.
Argentina 1985
Dal 1976 al 1983 l’Argentina fu in mano a una dittatura, instaurata a seguito di un colpo di Stato che consegnò il potere nelle mani di tre comandanti delle forze armate: Videla, Agosti e Massera. Quando nel 1983 il regime crollò, sotto la spinta della comunità internazionale, vennero indette le prime elezioni democratiche. Poco dopo prese avvio uno storico processo che mise sotto accusa la nomenklatura, che aveva governato con il consenso di gran parte del mondo economico, con il supporto dei media e di molti cittadini.
Il film è la storia di questo processo, affidato al pubblico ministero Julio Strassera, Luis Moreno Ocampo e a un gruppo di giovani avvocati, sottoposti a minacce e intimidazioni, ma uniti in questa battaglia legale nella quale in pochi riuscivano a credere.
Una storia vera, raccontata con grande talento da Santiago Mitre, apprezzato regista e sceneggiatore argentino. Non è tanto un film giudiziario all’americana né un complicato racconto di politica nazionale. “Argentina 1985” è soprattutto la storia di Julio Strassera e della sua determinazione, del suo coraggio, delle sue paure, delle sue intuizioni, della sua semplicità. È anche la storia della sua famiglia, di come lo ha accompagnato, sostenuto e consigliato. E del suo gruppo di lavoro, un appassionato manipolo di eroi per caso.
Un film corale, sorprendente, che colpisce soprattutto per un equilibrato registro narrativo. Si ride, di gusto, per la genuina spontaneità dei personaggi. Ci si commuove, nel seguire l’epica battaglia di Davide contro Golia. Ci si arrabbia, immedesimandosi in tutte quelle storie di potere che spesso finiscono male.
Un film coinvolgente, tra i miglior visti a Venezia, elogio alla follia della rettitudine. Applausi.
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