Il Consiglio dei ministri ha varato il testo definitivo del decreto legge che, oltre ad aver prorogato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2021, sulla scorta di quanto deciso in sede europea, a cui il nostro Paese ha dato attuazione con un Dpcm di metà giugno, ha previsto anche per l’Italia il cosiddetto green pass, che si può ottenere con il vaccino, un tampone negativo nelle 72 ore precedenti o la guarigione dal Covid-19.
Scorrendo l’elenco delle attività che dal 6 agosto saranno consentite solo dietro presentazione del documento (e quello, corrispondente, delle attività per cui per ora non è richiesto) si nota come il provvedimento sia stato segnato da una certa cautela, a differenza dell’analogo atto emanato in Francia dal presidente Macron. In questo Paese, essendo la campagna vaccinale molto deficitaria, la scelta dell’Esecutivo è andata in una direzione ben più radicale, mentre da noi l’elenco è assai più contenuto.
Tra i motivi di questa scelta vanno annoverate sia la buona risposta alla campagna vaccinale dei cittadini italiani, sia il punto di vista delle Regioni, che avevano chiesto al governo di non radicalizzare le richieste per consentire un adattamento graduale: attualmente infatti la situazione dei contagi è ancora molto bassa e i limiti, pur soft, a molte attività non immediatamente necessari. Così, il green paas non è richiesto per alberghi, negozi, centri commerciali, parrucchieri estetisti e barbieri, stabilimenti balneari, fabbriche, uffici, aerei, treni e altri mezzi di trasporto pubblico, esercizi pubblici se all’aperto. Rimangono anche escluse le discoteche le quali, come è noto, rimangono chiuse.
A fronte della “leggerezza” del provvedimento, l’annuncio del governo è risultato invece sorprendentemente energico, soprattutto nei riguardi di coloro che non intendono sottoporsi al vaccino, con ciò forse tradendo che lo scopo del green pass è di fare pressioni per il completamento della campagna vaccinale fino ad arrivare alla cosiddetta immunità di gregge ed evitare – secondo gli esperti – una recrudescenza della pandemia, in verità tutta da dimostrare. La minaccia di una nuova chiusura è stata molto sottolineata e, di conseguenza, la pressione a sottoporsi al vaccino altrettanto forte, anche a fronte della diffusa avversione agli stessi e alle limitazioni governative alle varie libertà, come testimonia la protesta torinese guidata da Ugo Mattei, candidato sindaco della città.
Molte questioni, tuttavia, restano aperte, soprattutto in merito a quanto succederà a settembre, con la ripresa delle scuole e del lavoro. Particolarmente preoccupante l’ipotesi che si debbano vaccinare gli studenti, soprattutto se molto giovani, così come problematica appare la situazione delle famiglie le quali, ad esempio, per andare al ristorante al chiuso dovrebbero avere tutti – genitori e figli – il passaporto. Inoltre, sulla necessità di vaccinare i bambini sussistono visioni diverse tra i pediatri (e tra le diverse associazioni europee di pediatria), alcuni dei quali sconsigliano il vaccino per i rischi e per la relativa scarsa severità della malattia da virus, se contratta.
Il provvedimento odierno appare dunque, in questa situazione incerta e pencolante – con una opposizione che pare essere più agguerrita che in passato – solo un primo passo, utile a saggiare gli umori dell’opinione pubblica che, a tratti, possono apparire preoccupanti. Questo spiega, forse, l’intervento del presidente del Consiglio e i suoi toni decisi, orientati a “produrre” consenso sulla vaccinazione e sulle conseguenti scelte governative, anche in vista delle accelerazioni richieste dalle varie questioni sul tappeto, da chiudere al più presto, in vista delle verifiche europee e dei primi versamenti di fondi. Non è tempo né di esitazioni né di dubbi: il tempo stringe e l’Europa è sempre più presente nel nostro scenario politico.
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