Porte chiuse da Abu Mazen e dai Paesi arabi. Alla fine la visita di Joe Biden in Medio Oriente ha portato solo a un incontro con Netanyahu. Un vertice importante, però, perché gli Usa hanno confermato il sostegno a Israele, ma hanno voluto anche ribadire nel modo più chiaro possibile, facendo arrivare direttamente il loro presidente, che nella risposta all’attacco di Hamas non vogliono che Tel Aviv oltrepassi certi limiti. Il nodo da sciogliere, spiega Renzo Guolo, ordinario di sociologia della religione all’Università di Padova, esperto di islam e fondamentalismi, resta quello del possibile attacco di terra a Gaza.
Israele potrebbe optare ora per una soluzione alternativa: un’azione mirata ai capi di Hamas, che avrebbe come obiettivo la “decapitazione” dell’organizzazione, riducendo gli effetti negativi sulla città e la gente che la abita. Ora bisognerà vedere quale sarà l’orientamento del Governo Netanyahu, nel quale giocherà un ruolo importante il generale Gantz, entrato a far parte dell’esecutivo e sostenuto dagli Usa. La sua esperienza militare e il suo legame con Washington potrebbero influire sulle scelte strategiche.
L’intervento per eliminare i capi di Hamas, qualora riuscisse, potrebbe indebolire l’organizzazione filoiraniana e dare il tempo ai palestinesi di individuare una nuova classe politica in grado di immaginare quale potrà essere la soluzione più adatta per assicurare la convivenza di Israele e Palestina. Da questo punto di vista per ora nessuno ha ancora idee precise. Intanto in Tunisia come in Turchia, in Cisgiordania come in Libano la gente manifesta in piazza, segno di un nervosismo delle opinioni pubbliche mediorientali che rappresenta un altro elemento di preoccupazione
Professore, Biden si è visto rifiutare un incontro da Abu Mazen e non ha avuto colloqui con nessuno nei Paesi arabi, si è limitato a vedere Netanyahu: il suo viaggio è stato un flop?
Dal punto di vista politico sicuramente non è un grande risultato, perché gli Usa non potevano che ribadire l’alleanza con Israele. Il problema resta che cosa fare a Gaza. Mentre gli Stati Uniti avrebbero accettato una reazione molto dura dopo l’attacco di Hamas, capiscono che in questo momento, con il conflitto ucraino aperto e con un mondo arabo che tende a schierarsi con i palestinesi, seppure con sfumature differenti, un’operazione a Gaza, di cui Biden vuole capire i contorni, può essere pericolosa. Gli americani hanno bisogno di una relativa tranquillità in scenari diversi da quello del Pacifico, dove la contesa con la Cina per ora non assume dimensioni di confronto diretto, mentre il fronte russo-ucraino per loro è assai impegnativo sia militarmente che politicamente.
Israele ha dichiarato che la vera risposta all’attacco di Hamas potrebbe non essere necessariamente un’azione di terra a Gaza. A cosa pensano gli israeliani per dare corpo alla vendetta annunciata da Netanyahu?
Non basta occupare dieci chilometri di Striscia, perché poi occorre governarla: bisogna anche capire a chi verrebbe affidata la fase successiva. Inizialmente quello che si prevedeva era addirittura un esodo della popolazione, ma l’Egitto si è subito opposto, perché mandare due milioni di persone in un campo profughi nel suo territorio sarebbe stato destabilizzante. Il nodo per gli israeliani è cosa fare ora: per Netanyahu tornare indietro dopo aver annunciato con enfasi un’operazione di vasta portata non è così semplice. Oltre tutto c’è una dimensione anche personale: dopo quanto accaduto difficilmente Netanyahu potrà resuscitare come uomo politico, la sua parabola dovrebbe essere chiusa, ma ha l’orgoglio e l’ambizione di chiuderla come colui che ha distrutto Hamas. Tuttavia si trova addosso una pressione internazionale, non solo dalla Russia e dalla Cina ma anche dal suo alleato principale, che cerca di condizionarlo il più possibile. Non è semplice anche per lui uscire da questo imbuto in cui si è infilato creando delle aspettative interne.
Ma c’è un’alternativa all’azione di terra contro Gaza per stanare Hamas e ottenere così un risultato soddisfacente per Israele?
Sharon stesso aveva compreso che Gaza era una trappola infernale. L’azione militare comporterebbe un alto numero di perdite. L’alternativa al piano iniziale per Gaza potrebbe essere un intervento delle forze speciali che vanno a caccia della leadership di Hamas con azioni mirate, per realizzare il quale ci sarebbe bisogno di svuotare la città di una parte della popolazione, per andare a combattere nei tunnel di cui è disseminata. Ma il vero problema è come si governa dopo Gaza: non è pensabile affidarla a una coalizione internazionale o alla Lega araba, nessuno vuole prendersene carico. Non si può tornare a una soluzione simile al 1948, con campi profughi nei quali Hamas farebbe prestissimo a tornare egemone. La soluzione, quindi, potrebbe essere colpire duramente Hamas, evitare che si rafforzi nei prossimi anni per poi intavolare, magari con un nuovo ceto politico che sostituisca la vecchia guardia dell’Olp nell’Autorità nazionale palestinese, un negoziato che porti a una soluzione condivisa.
Il piano, quindi sarebbe, indebolire Hamas, per avere tempo di individuare un nuovo interlocutore politico nei palestinesi e avviare una trattativa per trovare una soluzione?
Sì, anche se il dibattito sul futuro e sulla soluzione della questione palestinese è un po’ surreale. Si dice che la soluzione dei due Stati è tramontata ed è difficile da praticare oggi, ma qual è l’alternativa? Si è visto che se lasci un bubbone come Gaza poi ti esplode tra le mani, quindi alla fine una soluzione bisognerà pure trovarla. L’ipotesi di uno Stato binazionale, che però significherebbe che non ci sarebbe più uno Stato ebraico in senso stretto, non è praticabile, anche per una questione demografica: nell’arco di vent’anni gli arabi sarebbero maggioranza. Quale sia la vera alternativa in questo momento non lo sa nessuno: stiamo scontando anche una situazione internazionale in cui le grandi potenze mondiali non sono in grado di concertare tra loro una soluzione presentabile.
Come mai nessuno ha ancora pensato a un piano?
È avvenuto tutto troppo presto. Quando mai nel giro di pochi giorni e con una guerra in corso il presidente degli Usa, dopo che ha inviato il suo segretario di Stato Blinken, si precipita in Israele? Vuol dire che la situazione è grave. Meglio tentare di avviare un meccanismo diplomatico non per indicare una soluzione che oggi non si vede, ma per riuscire almeno a imporre una tregua.
Il bombardamento dell’ospedale di Gaza, con le centinaia di morti che ci sono stati, quanto complica la situazione?
Intanto bisogna cercare di capire se è stato un errore di lancio di Hamas o se è colpa di Israele. Il problema è che ora si fa un uso politico di questo tragico episodio. È già diventato tuttavia un classico evento catalizzatore che è in grado di indurre i governi a non fare altre mosse. Se non ci sarà una prova chiara del responsabile effettivo questa questione aleggerà per molto tempo sulla situazione e ciascuno la userà a suo vantaggio.
Hamas sarebbe disposta a liberare gli ostaggi civili in cambio della fine dei bombardamenti su Gaza: i prigionieri sono ancora una “arma” importante a loro disposizione?
Hamas gioca le carte che ha di fronte a una reazione così possente da parte di Israele che rischia di distruggere la sua base di consenso: non può governare un luogo con una popolazione rancorosa nei suoi confronti. Quanto agli ostaggi, bisognerà capire se ci sarà un cambiamento di dottrina israeliano: fino a sabato scorso valeva il principio proprio della tradizione ebraica per cui la vita è talmente importante che si possono sacrificare anche obiettivi militari. Se non vale più, se la loro perdita, di fronte alla gravità di ciò che è avvenuto, viene ritenuta un effetto collaterale della guerra, di fatto si depotenzia la capacità ricattatoria di Hamas. C’è da tenere conto, comunque, anche del numero consistente delle persone rapite: quasi 200 ostaggi non sono un problema facilmente accantonabile. Se vale comunque l’antica dottrina morale, per il Governo agire diventa complicato.
Tornando alla reazione degli israeliani, per come stanno le cose adesso, l’ipotesi più probabile è quella di un’azione mirata contro i capi di Hamas per indebolire l’organizzazione?
Molto dipende dalle condizioni che saprà imporre Gantz, che è appena entrato nel Governo di Netanyahu, nel quale la destra religiosa sarebbe favorevole a una guerra dura. Gantz è sostenuto dagli americani, ha una solida formazione militare alle spalle e sa che andare oltre un certo limite può provocare un problema enorme. La visita di Biden e di Blinken in questi giorni è un fatto eccezionale e non è solo il modo per portare solidarietà a un alleato, ma anche per chiedergli brutalmente che cosa ha intenzione di fare. Molto dipenderà dalla linea da non varcare che gli Usa metteranno sul tavolo. Rispetto al governo precedente gli americani, però, ora hanno un punto di appoggio all’interno, che è Gantz.
(Paolo Rossetti)
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