La Spagna perde 4000 posti di lavoro al giorno? Riflettiamoci, forse è un modello di sviluppo fallimentare che va oltre alle difficoltà di singoli settori economici. Mi ero permesso, anni fa, di sostenere che un Paese che disinvestiva sulla coesione familiare (divorzio breve), sul capitale umano (aborto sprint) ed educazione scolastica (obbligatorietà delle ore di educazione ai diritti sessuali e riproduttivi), in fondo, lavorasse per un disfacimento delle virtù civili e quindi si approssimasse al suicidio anche economico.
Allora era in voga anche in Italia il modello Zapatero, bengodi e disvalori consumistici al massimo del gradimento e, di converso, le virtù della continenza e della sobrietà, del sacrificio e della responsabilità, della fatica e della pazienza considerati comportamenti “superati” dalla storia del popolo iberico. Inoltre, c’erano molti commentatori che inneggiavano al modello spagnolo come il “migliore”, il “più fecondo di felicità” e il più redditizio anche sotto l’aspetto economico. Insomma chi non era “zapateriano” era un bigotto retrogrado, che desiderava solo la tristezza e la povertà di quel Paese e di tutta intera l’Europa.
Và da sé, come insegna la saggezza popolare, che la verità alla fine, grazie a Dio velocemente, viene sempre a galla. Infatti, sono passati due anni dall’esemplare “successo spagnolo” e quel modello è entrato in crisi, una crisi economica che rimanda, ricordiamo le parole dell’Enciclica Caritas in Veritate, all’erronea costruzione antropologica della visione di sviluppo che si era adottata.
Se l’uomo, la cui vita è evidentemente e per tutte le culture creato da Dio, è ridotto ad un “ernia” talvolta fastidiosa, se il fattore di formidabile coesione e trasmissione del patto generazionale della famiglia è ridicolizzato a un istinto, se la libertà scolastica viene compressa e talora sacrificata all’obbligo di insegnamenti discutibili, se l’amore è banalizzato negli impulsi istintivi e fugaci, allora non c’è da attendersi altro che non sia un completo “rilassamento” e intorpidimento dei cittadini.
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A ciò si aggiunga che quel modello di sviluppo economico a cui si era puntato nel Paese iberico, diversamente dai Governi Aznar, aveva con Zapatero scommesso tutto sull’azzardo, tutto sul breve periodo, tutto sugli effetti immediati. Ora, con la crisi pesante che vive la Spagna, in analogia con le riflessioni che in molti hanno sviluppato a seguito del fallimento del modello egoistico speculativo della crisi finanziaria dello scorso anno, è necessaria una profonda riflessione sulla funzione “servente” della politica e sul significato reale del bene comune.
Non l’imposizione, per via della tirannia temporanea di numeri nel parlamento, di modelli ideologici di felicità fugace, non la banalizzazione delle virtù civili e l’esaltazione degli istinti egocentrici ma ben altro è lo scopo della politica e ben altri sono gli atti, a volte impopolari nell’immediato, che un politico e un Governo lungimirante devono compiere per il Paese.
La crisi economica mondiale ha un sua espressione plastica nella crisi profonda e sociale che pervade un intero Paese, la Spagna di Zapatero.Noi non gioiamo delle disgrazie altrui, confidiamo nel riscatto di quel glorioso popolo e di quella grande nazione e tuttavia, senza una profonda autocritica della politica e della cultura dominante spagnola, non ci potrà essere nessun riscatto.
Quando si sbaglia direzione di marcia, lo verifichiamo nella nostra esperienza elementare e quotidiana, la cosa più ragionevole da compiere è un’inversione, un cambio di direzione e una marcia più spedita verso la meta. Ci illudiamo forse, ma profondamente crediamo che la Spagna meriti dai suoi politici un sussulto di sincerità: quello di ammettere gli errori e la volontà di cambiare direzione e marcia.