Abbiamo già scritto dei problemi di Acciaierie d’Italia, delle promesse mancate e delle opportunità non colte. In occasione di due fatti importanti – la proroga dei contratti che legano AdI con Invitalia e AdI con Ilva in AS e la pronuncia della Corte di Assise di Taranto – vogliamo fare alcune considerazioni partendo dagli attori in campo per arrivare ad alcune considerazioni di sintesi sulle prospettive a venire.
One woman show – Una sola donna al comando
La dottoressa Morselli è una manager di altissimo profilo che ha sempre saputo interpretare alla perfezione gli interessi dei propri azionisti; non ha bisogno di indicazioni puntuali; a lei basta un’alzata di sopracciglia del suo azionista per capire cosa deve fare. Diciamolo chiaramente: è il manager che qualsiasi azionista vorrebbe avere quando si tratta di gestire situazioni difficili e ristrutturazioni profonde e siamo certi che anche oggi abbia capito quali siano gli interessi del suo azionista di maggioranza (Arcelor Mittal). Ma il problema che da oggi si pone è: quali sono gli interessi nei confronti di AdI? Sono interessi che coincidono con quelli del nostro Paese o sono invece concorrenti e contrapposti? Lo vuole dire in modo che si capisca? Altrimenti si alimentano le illazioni che non fanno bene all’Azienda (e forse anche al suo Ceo/Ad).
La dottoressa Morselli è anche un manager coraggioso e sprezzante del pericolo. E non ci riferiamo alla sua presenza qualche giorno fa ai cancelli della fabbrica durante uno sciopero particolarmente partecipato e nervoso, ma lo si capisce da tempo osservando con attenzione la governance di “AdI holding” e “AdI spa” (la società operativa che gestisce gli impianti). Una precisazione: “Invitalia” è nell’azionariato della holding ma non nella spa e qualsiasi problema operativo (comprese le conseguenze penali) dovrebbe interessare chi gestisce l’operatività delle fabbriche. Un tempo aveva fatto notizia la richiesta, poi negata dal Governo, di uno scudo legale per gli amministratori di Arcelor Mittal Italia. Adesso agli Amministratori pubblici di “AdI spa” non serve più lo scudo legale perché la dottoressa Morselli è il vero “scudo” che sprezzante del pericolo presidia e catalizza tutti i rischi derivanti dall’operatività.
È anche esperta di finanza, oltre che di siderurgia (sostiene di non avere rivali in materia) e ha fatto il capolavoro di tenere in piedi un’azienda “capital intensive” senza liquidità gestendola per cassa in un momento in cui, per l’esplosione dei costi di materie prime ed energie, aveva bisogno di un capitale circolante molto alto. Certo, ha usato i fornitori come finanziatori, non ha sfruttato il boom di mercato del 2021, ma ha tenuto in marcia gli impianti (anche se a basso regime) e ha pagato regolarmente gli stipendi.
La dottoressa Morselli oltre a essere coraggiosa è dotata anche di un grande ottimismo, fondamentale per tenere alto il morale delle truppe. Sfidando le leggi della siderurgia continua infatti a promettere che chiuderà l’anno con una produzione di 5,7 milioni di tonnellate. Il sindacato è scettico perché sa perfettamente che al passo dei primi 5 mesi sarebbe ambizioso l’obiettivo di arrivare a 4 milioni di tonnellate. Per raggiungere i 5,7 milioni di tonnellate nel 2022, da oggi in poi deve marciare senza sosta con tre altoforni fino al 31 dicembre. Ma lei ci crede e confida nell’arrivo dei soldi di Morgan Stanley e dei primi 250 milioni Unicredit garantiti Sace coi quali cercare di acquistare le materie prime.
La dottoressa Morselli sta riuscendo infine ad arginare un’emorragia di tecnici e manager che sono evidentemente turbati da una stampa che non perde l’occasione per mettere in cattiva luce AdI. In queste ultime settimane si è impegnata a scommettere su molti giovani presenti in azienda e a richiamare in servizio, quasi fossero riservisti, ex manager over settanta per presidiare le aree critiche e svolgere una funzione di tutoraggio dei tanti junior emergenti.
L’unico peccato di ingenuità è stato avere aggiunto unilateralmente un extra costo, derivante dagli aumenti dei prezzi delle energie. sugli ordini già emessi edin consegna. Normalmente queste situazioni si subiscono e si assorbono. Questa forzatura alimenta il rischio che in una fase di prezzi calante, come ad esempio quella delle ultime settimane, i clienti si sentano legittimati a disdire gli ordini o a non ritirare la merce. La cosa potrebbe generare qualche criticità se questa situazione dovesse interferire con la cartolarizzazione dei crediti con Morgan Stanley. Forse per questo ha licenziato di punto in bianco il direttore commerciale che aveva assunto da soli due anni.
Sleeping Partner – Il compagno dorme
Ogni giorno che passa, e soprattutto dopo la proroga al 2024 del contratto, il socio pubblico, Invitalia, sembra essere sempre più uno “Sleeping Partner”.
Manlevatp dai rischi della gestione della società operativa, il socio Invitalia si è gradualmente alleggerito di competenze tecniche quasi a voler evitare di entrare anche solo per sbaglio nel merito delle tematiche propriamente siderurgiche. Dopo l’uscita di Cao, improvvisa e imprevista, sono arrivate le dimissioni, ufficialmente per motivi personali, di Carlo Mapelli, professore del Politecnico di Milano e grande conoscitore di Taranto e di tutta la siderurgia italiana. Sembra che il professore si sia trovato sempre più solo non tanto perché il socio privato evitava di dare le informazioni richieste, ma perché gli stessi suoi colleghi preferivano non immischiarsi nei fatti operativi. Non sapere consentirebbe (il condizionale però è d’obbligo) di scaricare sulla “operativa” dottoressa Morselli ogni responsabilità penale e non.
Immaginiamo che agli sleeping partner il rinvio sia andato benissimo; consente loro di mantenere per altri due anni lo status di ignavi. Se non fosse così avrebbero colto l’occasione della proroga per mettere un piedino, ovviamente senza deleghe, nel CdA della società operativa.
Pass the buck – Lo scaricabarile del Governo
Con la proroga anche l’attore Governo ha ottenuto il suo risultato, ovvero quello di scaricare sul prossimo esecutivo la soluzione, qualsiasi essa sia, del problema ex Ilva. Del resto la siderurgia ex pubblica è una bella gatta da pelare, dove in tanti (sette diversi Governi, da quello Monti al Conte 2) hanno già fallito. L’unico caso critico che si è risolto con un lieto fine è Terni. Ma in questo caso il merito e tutto di un imprenditore privato italiano determinato e coraggioso come il Cav. Giovanni Arvedi che merita per questo di essere sostenuto in quelli che sono gli ulteriori piani di sviluppo.
Il Governo non è un’entità astratta, ma una squadra con diverse aree di competenza che non sempre dialogano o collaborano tra loro. Con il Governo Conte 2, ma soprattutto per quello attuale, le competenze primarie sul caso Ilva sono passate dal Mise al Mef in considerazione del fatto che lo Stato è tornato azionista in siderurgia. Tutto bene se il Governo si comportasse come una squadra, mentre si ha la sensazione che i vari ministeri agiscano scollegati tra loro. La questione ex Ilva è un tema finanziario e di proprietà (Mef), ma è soprattutto un problema industriale (Mise), una questione ecologica (Mite) e sociale (Lavoro) di primaria rilevanza. Come si dice in gergo: serve il “concerto”.
Waiting the moon – I sindacati sospesi sul vuoto
Il sindacato appare sempre più rassegnato in attesa degli eventi e quasi pronto a subirli. Forse per il timore di innescare reazioni difficili da gestire in termini di ordine pubblico, il sindacato è sempre stato molto prudente e ha dato credito all’ultimo arrivato (nel caso Piombino già raccontato nelle precedenti settimane è stato esemplare il susseguirsi di innamoramenti e odi che prima hanno riguardato l’algerino Rebrab e poi l’indiano Jindal).Forse sono cambiati i tempi, o forse il sindacato si sta muovendo sottotraccia e non lo sappiamo. O forse, ed è l’ipotesi più probabile, anche il sindacato non capisce qual è l’interlocutore chiave: il Governo? E se si quale Ministero? Invitalia? AdI? Arcelor Mittal? Resta il fatto che stare fermi non risolve nulla e poi si pagano le conseguenze.
The silent guest – I Magistrati e le loro sentenze
La vera novità (o conferma?) degli ultimi giorni non è stata però la proroga al 2024 dell’accordo Ilva/AdI/Invitalia, ma le motivazioni con le quali, prima la Procura e poi la Corte d’Assise di Taranto, hanno negato il dissequestro degli impianti siderurgici.
La Corte non contesta quanto sostenuto da Ilva in AS (realizzazione del 90% delle prescrizioni ambientali), ma spiega che “allo stato dei fatti la realizzazione parziale delle prescrizioni AIA non sia idonea a garantire la sicurezza degli impianti e che la circostanza che anche in condizione di fermo sostanziali dell’impianto (la produzione nel 2021 è stata di 3,6 milioni di tonnellate contro i 6 autorizzati e i 10 ante 2012. ndr) lo stesso comunque abbia prodotto delle emissioni superiori ai limiti di legge, sia verosimilmente conseguenza o di un piano ambientale nuovamente erroneo oppure di una erronea applicazione dello stesso”. Una frase che è come una spada di Damocle sul futuro dell’area a caldo di Taranto e pertanto sulla sopravvivenza di tutto il siderurgico.
E quindi?
E quindi se rapidamente e in poche mosse non si fa chiarezza finisce male, anzi malissimo, e al 31 maggio del 2024 si arriva in mezzo alle macerie.
Bisogna capire parlando direttamente con il “padrone”, quali siano le reali intenzioni di Arcelor Mittal e agire di conseguenza: qual è il vero piano industriale? Quello Bernabè di dissolvenza del ciclo integrale in 10 anni a favore di una conversione totale della produzione con i forni elettrici oppure quello che AdI ha presentato ai sindacati nel chiedere la Cigs che prevede il rifacimento dell’altoforno numero 5 e la realizzazione di un forno elettrico? La risposta deve essere chiara rapida e condivisa perché subito dopo può essere affrontato, senza pregiudizi e barricate tattiche il tema occupazionale e se saranno previsti degli esuberi, com’è molto probabile, incominciare da subito a lavorare per risolvere il problema sia in termini di welfare che di nuova industrializzazione. Se invece tutto sta fermo come ora, il traguardo di una tragica sconfitta industriale, ambientale e sociale è molto vicino.
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