I cinesi sbarcano in Germania. Dopo aver già investito ingenti somme nel Nord Italia e in altri Paesi del Vecchio Continente, colossi industriali orientali bussano alla porta teutonica con l’obiettivo di acquisire specifiche aziende e avviare progetti di espansione attraverso mirate strategie di investimento. Per farlo, la Cina passa attraverso Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity, focalizzato in particolare sull’asse con l’Italia, che a breve dovrebbe aprire una nuova sede in Germania, a Monaco o a Francoforte. «Per approvvigionarsi di tecnologia, la Cina può rivolgersi a poche aree del mondo, tra cui il Giappone, gli Stati Uniti e l’Europa continentale, in particolare Germania, Svizzera, Austria, Nord Italia e Paesi scandinavi», ci spiega Alberto Forchielli, partner fondatore di Mandarin Capital Partners. «Il Giappone è sempre stato “chiuso” nei confronti della Cina, mentre negli Stati Uniti non può proprio entrare, quindi è l’Europa a rappresentare il terreno più fertile dove investire. Mandarin ha avviato per primo questo tipo di formula, riscuotendo molto successo: dopo la performance straordinaria ottenuta con il primo fondo, i cinesi si sono accorti di poter guadagnare parecchio investendo in Europa. Basti pensare che, attraverso il nostro fondo, hanno investito solo in Italia quasi un miliardo di euro».



Come mai i cinesi hanno bisogno dell’Europa?

Ovviamente le aziende cinesi hanno bisogno in generale di aumentare il valore aggiunto e la competitività e, visto che in Cina non è facile fare innovazione, scelgono semplicemente di acquistarla attraverso investimenti mirati in Europa e non solo. E’ importante sottolineare che le imprese acquisite non vengono chiuse, ma anzi ne escono assolutamente rinvigorite e migliorate.



Perché in Cina non è facile fare innovazione?

Perché è molto difficile riuscire a proteggere efficacemente la tecnologia, quindi le aziende rischiano di vedersi letteralmente rubare eventuali innovazioni. E’ per questo motivo che, una volta acquisita un’impresa in Europa, non intendono chiuderla per portarne la tecnologia in Cina, ma anzi la mantengono nel luogo d’origine proprio per evitare che nel loro Paese qualcuno possa “soffiargli” la novità. Le aziende che vengono comprate, dunque, sono sempre preservate con molto interesse, attraverso numerosi investimenti e, tra l’altro, dopo un acquisto iniziale molto costoso.  



Quanto ha influito però la crisi che ancora oggi mette in difficoltà l’Europa?

In questo particolare settore neanche troppo. Anche se l’Europa è in crisi, infatti, il valore tecnologico delle aziende non diminuisce affatto, quindi il prezzo di acquisto resta molto alto. I cinesi non cercano un mercato su cui affacciarsi, ne hanno già abbastanza nel loro Paese, quindi sono alla ricerca di tecnologia solamente per poter aumentare la competitività nel mercato domestico. Almeno in questo momento non intendono esportare in Europa, ma soprattutto verso i mercati emergenti.

 

Come è nato questo interessamento?

 

Il Mandarin è stato il primo fondo straniero a cui le banche cinesi hanno scelto di partecipare. Il modello è andato molto bene, tanto che adesso ne sono stati creati altri anche con i russi, i francesi e non solo. Come dicevo, non sono molti i paesi a cui la Cina si può rivolgere per la tecnologia: l’Inghilterra ormai non ha più industria, la Spagna non ce l’ha mai avuta e i paesi dell’Est Europa possiedono un tipo di tecnologia che alla Cina non interessa.

 

Come ha reagito l’Europa a queste acquisizioni?

 

Dopo un primo momento di scetticismo, ha reagito benissimo. Adesso sono in tanti a cercare gli investitori cinesi, semplicemente perché permettono di rivitalizzare in modo straordinario le aziende. Ed è ovvio che sia così: quando un’azienda riesce a resistere alla crisi e a vedere finalmente il segno positivo nei propri conti, è chiaro che l’operazione risulta interessante. Adesso è caduto anche l’ultimo tabù, rappresentato dalla Germania, dove la Cina sta operando numerose acquisizioni.

 

(Claudio Perlini)