È una visione strategica intelligente, realistica, corrispondente al nuovo mercato mondiale quella della Fantoni, una grande azienda del Friuli, con milleduecento dipendenti, che produce pannelli di legno, quelli con cui si fanno i mobili e gli arredamenti delle case, degli alberghi. Dal 1995 hanno capito che l’Europa e l’Italia sono zone dove si invecchia, dove la crescita si calcola in decimali o addirittura si ferma a quota zero. E allora la scelta è stata quella di puntare sull’export, con coraggio, con intraprendenza, andando a guardare quello che sta succedendo nel mondo, anche quello vicino del Medio Oriente, dell’Africa del Nord. Andrea Cleani è il Direttore export della Fantoni e spiega lucidamente i problemi che le imprese del legno hanno dovuto affrontare negli ultimi anni e quelli che dovranno affrontare in futuro.
La Fantoni, questa grande azienda, punta più sull’export o sul mercato interno?
Al momento il 45% della nostra produzione è puntato sull’export, il 55% sull’interno. Ma è evidente che l’export sarà ancora in espansione. Lo abbiamo pensato fin dagli anni Novanta, quando in Italia, alla fine, andava ancora tutto bene. Oggi quella scelta ha pagato e in futuro, secondo noi, pagherà ancora di più, sarà vincente.
Quando andate in questi paesi avete un appoggio, una base di supporto che vi viene dalle istituzioni italiane?
Guardi è quasi inutile parlare di questi supporti. Non ci sono, ma a volte non servono neppure. Bisogna che le cose le facciamo noi, viaggiando, conoscendo persone, stabilendo rapporti, investendo per questi viaggi e queste relazioni che si creano. E bisogna farlo continuamente, senza pretendere di andare in un Paese, in un luogo, e avere subito un ordine. Prima bisogna conoscere, guardare, “seminare” e poi stia sicuro che l’ordine arriva, se lei ha lavorato bene e i suoi prodotti sono buoni. Certo, ci sono ottime iniziative come quelle che fa FederlegnoArredo, ci sono anche funzionari italiani che si muovono bene, ma il problema è “prendere la valigia” e andare in giro a guardare il mondo.
Recentemente siete andati in Libano, nella zona che è una porta di tutto il Medio Oriente.
È vero ed è stato utile, ma noi l’avevamo già fatta questa scelta. Noi con il Libano abbiamo un fatturato di 10 milioni di euro. Guardi, siamo partiti da una considerazione molto semplice: i dati demografici dell’Italia e dell’Europa, la crescita dell’Italia e dell’Europa. In che condizioni è il mercato italiano? Si è fermato, è bloccato. I piccoli e medi imprenditori stanno saltando, molti sono spariti. Quelli che restano sono principalmente imprese che fanno una grande eccellenza, che rappresentano il miglior “Made in Italy”, che ovviamente è ancora il prodotto più apprezzato nel mondo in questo settore.
È stata una scelta meditata e ben ponderata la vostra.
Ci siamo guardati intorno nei paesi del Medio Oriente, ma sarebbe meglio dire del Vicino Oriente (come dicono i francesi), non tanto alla zona del Golfo Persico, nemmeno all’Arabia Saudita. E poi ai Paesi del Nord Africa, come Algeria e Tunisia. Le considerazioni da cui siamo partiti sono principalmente due: l’aspetto di crescita demografica e l’età prevalentemente giovane di questi popoli; poi l’aspetto logistico, per il costo dei trasporti. Vale a dire che non ci siamo messi in mente di andare in Perù, dove ci sarà pure crescita demografica, ma i costi logistici sono enormi. Ogni quattro mesi, anche di più, si fa un viaggio in quei paesi, si conosce, si parla, si stabiliscono rapporti. I risultati sono stati buoni.
Non sembrano ancora paesi ricchi, piuttosto paesi in espansione.
Questi paesi hanno già capacità di consumo, sono ricchi di materie prime e hanno anche soldi. Io credo che nei prossimi anni vivranno gli “anni Sessanta” italiani, in altri termini avranno un boom economico come è avvenuto da noi.
Vi disturba il cambio euro-dollaro così rigido e così alto?
Per fortuna negli ultimi giorni è un po’ sceso. Indubbiamente ci disturba. Noi abbiamo scelto di operare solo in euro. In America non abbiamo grandi sbocchi di mercato. Ma le posso anticipare le nostre scelte nel prossimo decennio. Dopo il Medio Oriente e i Paesi del Nord Africa, guarderemo ai Paesi dell’Africa sub-sahariana: Nigeria, Angola. Anche in quei Paesi ci sono segni di espansione dei consumi, di sviluppo e una popolazione demograficamente in crescita e giovane. I dati della Nigeria sono quasi impressionanti se riportati a un mondo vecchio come il nostro. Si tratta anche in questo caso di andare a vedere, di fare delle visite, di stabilire delle relazioni. Guardi che i nostri prodotti, in genere tutti quelli italiani, sono buoni. All’inizio troverai sempre un fornitore cinese che piazza un ordine prima di te. Ma in genere il cliente comprende che ha acquistato un prodotto che deve essere sostituito nel giro di due anni e alla fine la buona qualità viene apprezzata ed è vincente.
Anche puntando sull’export, verso questi paesi in via di sviluppo, che problemi avete di fronte alla situazione italiana, dove producete, dove c’è la vostra azienda?
In questo momento non abbiamo problemi con le banche. La Fantoni è ben capitalizzata. C’è un problema di materia prima, del reperimento del legno che compriamo nell’Europa dell’Est, perché in Italia non c’è più nessuno che viva in montagna e quindi la cultura del bosco, del legno (così come altre culture di montagna) sono sparite. Poi c’è indubbiamente il peso della pressione fiscale.
Troppo alta.
Se l’abbassano non ci fanno che un favore. Capisco che stiamo affrontando problemi che dovevamo affrontare 20 anni fa. Ma a volte c’è veramente da piangere.
(Gianluigi Da Rold)