C’è stata una grande solidarietà, declamata, per gli abitanti dell’Emilia Romagna colpiti dal terremoto. Naturalmente, una ripetuta ammirazione per le imprese, piccole e medie, che onorano sempre il “made in Italy” nel mondo e che le scosse telluriche, diventate un’autentica ossessione, hanno messo in ginocchio. Le persone coinvolte ora sperano che dalle parole si passi ai fatti, agli aiuti concreti. Ma con grande realismo, non si fanno eccessive illusioni. Questi piccoli e medi imprenditori sono stati abituati a fare sempre tutto da soli, non confidando troppo negli aiuti e nelle promesse che arrivano dallo Stato. Con in più una convinzione: un’azienda non può scomparire per lungo tempo dall’oggi al domani, non si può fermare a lungo. Ha bisogno di continuare la sua produzione, il suo lavoro, di onorare gli ordini e le commesse che è riuscita a raccogliere in giro per il mondo. Dopo la “botta” durissima del 29 maggio, Gian Marco Budri non ci ha pensato molto. Ha un’azienda di 29 dipendenti, proprio in un epicentro del sisma, Mirandola. Si è visto praticamente sgretolare capannoni. Poi ha visto danneggiate le macchine che garantiscono una produzione di eccellenza nel mondo, la migliore del mondo, quella della pavimentazione in marmo, secondo stili antichi e moderni. La Budri è una sorta di “sartoria” nella lavorazione del marmo a intarsio e lavora per l’estero al cento per cento. Nata nel 1960, l’azienda è ormai alla terza generazione, perché anche il figlio di Gian Marco Budri lavora con il padre.
Che cosa ha fatto esattamente il 29 maggio?
Ci ho pensato pochi giorni e ho deciso di spostarmi, cioè di spostare l’azienda. Non potevo aspettare programmi a lungo termine. Sono stati bravi gli amministratori locali, per carità. Hanno fatto tutto quello che potevano fare. Ma io avevo bisogno di continuare il mio lavoro, così come i dipendenti che ho. Ci ho impiegato quattro settimane, ma ho trovato subito la possibilità di una sistemazione ad Affi, vicino al Lago di Garda, e ho ricominciato.
Ma come ha potuto realizzare tutto in così poco tempo?
Guardi, quando oggi qualcuno mi dice che ha un problema, io lo correggo subito e gli spiego che al massimo ha delle difficoltà. I problemi veri li ho passati io, in questi tempi. Quando è arrivato il terremoto a Mirandola non c’era solo il problema di alcuni capannoni dove si lavorava, c’era il problema delle macchine, quelle che fanno il controllo numerico che dovevano essere salvate, aggiustate. Con 70 autotreni, in quattordici giorni, abbiamo spostato tutto. Il danno complessivo che ho subito? Il calcolo è di 6 milioni e 400mila euro. Una sberla che non si dimentica.
Lei pensa che la risarciranno?
Diciamo così: chi vivrà, vedrà. Lo spero, ma non ci conto. Non ho alcuna intenzione di stare a parlare di politica e soprattutto dei politici. Ma se dovessi dire di dover contare sul recupero di quel danno subito, non sarei sincero. Intanto voglio ricominciare a lavorare, come prima, più di prima. Al momento ho dieci dipendenti che lavorano a Mirandola, altri diciannove che, come me, ogni giorno si fanno 260 chilometri per spostarsi. Sono bravissimi e guardi che ancora la maggior parte dorme sotto le tende o nelle roulotte.
Lei lavora soprattutto per l’estero.
Si, al cento percento. L’intero fatturato di nove milioni di euro. Facciamo dei pavimenti di marmo intarsiati per le ambasciate, per i negozi di Vuitton e di Bulgari, in giro per tutto il mondo. È da tre anni che ci riconoscono come i migliori nel mondo in questo tipo di produzione. Lavoro con i russi, i cinesi, gli indiani, gli arabi. La scelta di strategia aziendale è stata fatta all’inizio degli anni Novanta. Si capiva che da un lato si apriva il mercato, dall’altro che il mercato interno non offriva garanzie di crescita.
Ma almeno in questa scelta di mercato estero, ha trovato un aiuto?
Ma quale aiuto? Abbiamo fatto sempre tutto da soli. Io mi faccio i miei quaranta voli aerei all’anno in tutto il mondo. Se aspetto che ci sia qualche ufficio o istituzione statale che mi appoggi, non posso neppure immaginare di cominciare. Il nostro sistema produttivo è questo. Una grande eccellenza, magari in settori di nicchia, ma che fa vivere bene un’azienda e la gente che vi lavora. E che produce prestigio e ricchezza. Una grande capacità artigianale che si è trasformata a livello industriale, una grande capacità di innovazione e una grande flessibilità. È questo il sistema produttivo emiliano e anche italiano. Forse qualcuno, a Roma, non lo ha ancora capito.
Lei adesso ha vissuto il dramma del terremoto ed è riuscito, con la sua intraprendenza a rimettere in piedi un’azienda, farla tornare a produrre. Ma i problemi che avete nella normalità quali sono?
Guardi, non ho problemi di “insoluti” perché lavoro solo all’estero. Lì, in genere, i contratti sono molto chiari, c’è l’ordine, l’acconto, la consegna e il pagamento concordato. Gli “insoluti” sono un problema che non conosco, come tanti altri miei colleghi imprenditori. Poi ce ne sono due che ormai se li sarà sentiti ripetere da tutte le parti.
I rapporti con le banche.
Ecco, quelli sono proprio conflittuali in questo momento. Persino durante lo spostamento che stavo facendo sono diventati problematici per delle ipoteche, per le garanzie che richiedevano, anche in una situazione come quella in cui abbiamo vissuto. Con una ho rotto i rapporti e ho cambiato banca. Ma in genere, che cosa si può notare? Che il vecchio rapporto che esisteva un tempo, con bravi direttori di filiale, che erano vicinissimi all’azienda, non c’è più. Arriva sempre il funzionario e tutto diventa più problematico.
Infine la pressione fiscale.
Pazzesca. Ma quello che infastidisce è che persino nei giorni del terremoto non c’è stato un minimo di comprensione. Si chiedeva per i dipendenti un’esenzione almeno di due anni. Non si è fatto ancora nulla. È inutile neppure calcolarla la pressione fiscale, sapendo poi i servizi ti offrono. La tangenziale di Mirandola l’hanno aperta dopo anni, proprio quando c’è stato il terremoto. Ma comunque, a dispetto di tutti, la mia azienda non l’abbandono e nel mio lavoro, in quello che faccio ci credo e continuerò a farlo.
(Gianluigi Da Rold)