A nulla sono valse le misure sin qui messe a punto o annunciate. Lo spread, infatti, veleggia tranquillamente a quote d’allarme mentre il Fondo europeo che dovrebbe calmierarlo acquisendo titoli sul mercato secondario al raggiungimento di una determinata soglia è ben lungi dal vedere la luce, bloccato com’è dalla Corte Costituzionale tedesca. I supremi giudici tedeschi, infatti, accettando svariati ricorsi contro la sua approvazione, ne stanno rallentato la ratifica. Hanno fatto sapere che una sentenza arriverà il 12 settembre. Nel frattempo, il governo italiano si deve essere convinto del fatto che il fondo del barile, evidentemente, non è ancor stato raschiato. Già ad agosto, quindi, potrebbe mettere a punto un secondo piano di tagli alla spesa pubblica. L’importo non è ancora noto, ma il bersaglio dovrebbero essere le agevolazioni fiscali e gli aiuti diretti alle imprese. L’intenzione sarebbe quella di rassicurare i mercati in un mese che, come l’anno scorso, potrebbe essere incandescente per i titoli di stato italiani. Guido Merzoni, professore ordinario di Economia politica presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica, spiega a ilSussidiario.net perché non sarà questo l’effetto sortito. «Ogni misura che comprima la spesa è potenzialmente recessiva – spiega -. Qui, oltretutto, non siamo in presenza soltanto della riduzione della domanda, ma della capacità di costituire risorse produttive per il futuro. Il che, è ancora più grave». Ovviamente, secondo il professore, qualunque tentativo di revisione razionale dei capitoli di spesa della Pubblica amministrazione è opportuno.«Quando, esso, tuttavia, si trasforma nel tentativo di rincorrere il peggioramento delle condizioni generali della finanza pubblica, derivanti dall’aumentare degli interessi sul debito in misura non corrispondente ai fondamentali dell’economia, il rischio è che si inasprisca le spirale recessiva».
Ogni misura ideata per tamponare la situazione, inoltre, lascia il tempo che trova: «Il nodo fondamentale riguarda il fatto che i flussi dei mercati finanziari, a livello internazionale, devono essere regolamentati. Finché non si individuerà un rimedio strutturale all’eccessiva volatilità, i problemi saranno destinati a ripresentarsi». La questione è dibattuta da tempo. «Di regolamentazione se ne era parlato fin dagli inizi della crisi, specie in America; senza che, tuttavia, si siano mai concretizzati provvedimenti del genere». La dinamica da limitare, del resto, è ormai nota: «I mercati finanziari tendono a discostare i loro corsi dai fondamentali dell’economia. Sono soggetti alle tendenze dei cosiddetti equilibri multipli e delle aspettative che si auto-realizzano; in sostanza, se iniziano a essere pessimisti su un Paese o su un certo flusso finanziario, il pessimismo si traduce in realtà».
Contestualmente alla regolamentazione, è necessaria l’entrata in campo della Bce: «Finché non gli si consentirà di fungere da prestatore di ultima istanza, avremo a disposizione semplici meccanismi palliativi con in quali non ne verremo mai fuori. Anche il Fondo taglia spread, alla fine, non potrà rappresentare altro se non una soluzione di breve periodo». Anche il governo italiano potrebbe – o avrebbe potuto – fare la sua: «Avrebbe dovuto imporre, in sede di trattativa in ambito europeo, la distinzione tra spese per consumi e per investimenti; queste ultime, infatti, benché costituiscano un’uscita, rappresentano una possibilità di reddito futuro in grado di far fronte all’indebitamento. Tali spese andrebbero decurtate dal computo del deficit. La vera sfida, infatti, è creare asset produttivi. Se continuiamo a contenere le spese, ma non aumentiamo la ricchezza, l’efficacia di qualunque misura avrà breve durata».
(Paolo Nessi)