Nel 2015 il Pil russo calerà del 4%. A dare la notizia è stato Anton Siluanov, ministro delle Finanze di Mosca, a pochi giorni da un altro dato shock: nel terzo trimestre 2014 l’economia americana è cresciuta del +5%. In mezzo sta l’Italia, che pur non essendo in crisi come la Russia registra una performance tutt’altro che entusiasmante. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Quali sono le sue previsioni per l’economia italiana nel 2015?
La previsione per il Pil 2015 è intorno allo 0,5%. Il merito principale è del contro-shock petrolifero che avrà sicuramente effetti positivi per la crescita italiana. Se si esclude questo fattore, la ripresa sarà molto debole e la responsabilità è in parte nostra e in parte delle politiche macroeconomiche europee che dalla crisi finanziaria a oggi hanno sbagliato direzione. Lo dimostrano i dati degli Stati Uniti, dove il fatto di avere fissato fin da subito una politica fiscale e monetaria espansiva inizialmente ha fatto crescere il rapporto deficit/Pil oltre il 10%, ma poi è tornato al di sotto del 3% proprio grazie alla crescita. Il piano Juncker al contrario è molto fumoso, indica solo una direzione, ma manca la forza per realizzarlo in pieno.
Quanto influirà nel 2015 l’incognita relativa al prezzo del petrolio?
Influirà in positivo, in quanto avere dei prezzi del petrolio così bassi sarà un vantaggio per i paesi occidentali. Nello stesso tempo potrebbe essere uno svantaggio importante per alcuni Paesi emergenti come Russia e Venezuela che hanno puntato troppo sulle materie prime e non hanno saputo diversificare.
L’Italia sconterà un calo delle esportazioni verso questi Paesi?
Per l’Italia il calo delle esportazioni verso questi Paesi avrà un effetto limitato. Complessivamente per la nostra economia la riduzione del prezzo del petrolio avrà conseguenze positive. L’effetto più importante, che si ridistribuirà su tutta l’economia, sarà la diminuzione del costo dell’energia. Quest’ultima controbilancerà sicuramente il calo delle esportazioni verso la Russia.
Che cosa ne pensa della nuova crisi politica in Grecia?
Trovo significativo che perfino il Guinness dei Primati riporti il fatto che la più grave recessione dal Dopoguerra a oggi sia quella che si sta verificando in Grecia. La ritengo veramente una pagina nera dell’Europa, perché quando un Paese perde un quarto del suo Pil ci troviamo in presenza di un intervento assolutamente sbagliato.
Quali conseguenze avrebbe una vittoria di Syriza nelle eventuali elezioni anticipate?
Non sono sicuro che Tsipras riuscirà a vincere. Se avvenisse una vittoria di Syriza, potrebbe dare un’accelerata al cambiamento dell’Europa. Tsipras premerà per un’Ue più espansiva e per una rinegoziazione del debito che sarebbe certamente auspicabile in un contesto europeo. Anche se all’inizio per l’Italia ciò potrebbe comportare qualche piccola difficoltà, sarebbe una spinta all’Europa a fare qualche passo avanti.
In un ipotetico 2015 con Tsipras al governo in Grecia e Renzi in Italia, l’Ue cambierà la sua politica economica?
La speranza è proprio questa. In teoria basterebbe che Juncker realizzasse quello di cui ha parlato, ma con degli strumenti un po’ più efficaci di quelli che ha annunciato. Una leva a 15 non ha senso infatti per finanziare degli investimenti pubblici. La direzione tracciata quantomeno nelle intenzioni è questa, il problema sarà vedere se concretamente lo si vorrà fare.
Lei che cosa si aspetta?
Mi aspetto che eventuali nuove emergenze spingano nella direzione di un autentico piano di investimenti. Gli europei dovrebbero avere imparato la lezione, la dinamica del tasso di disoccupazione e crescita negli Stati Uniti hanno molto da insegnarci. Tanto più che il Quantitative easing non ha prodotto affatto un aumento dell’inflazione Usa che è ferma all’1,5%.
(Pietro Vernizzi)