“Un’idea, un concetto, un’idea: finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea, avrei fatto la mia rivoluzione”. Per l’appunto, l’idea e la carne. Arte che è già applicazione concreta nella realtà, senza posticce aggiunte secondarie, come esprimeva perfettamente Giorgio Gaber con il suo teatro-canzone. Il cantautore milanese insieme a molti altri artisti sono stati protagonisti della grande crescita artistica e culturale dell’Italia dal dopoguerra fino ai giorni nostri, con punte di malinconia pensando a quanti grandi uomini e donne si sono impegnate davvero per risollevare l’Italia partendo semplicemente da se stessi e dal fare bene il proprio mestiere. Ecco, mestiere: nell’evoluzione dell’arte italiana di quegli anni è nato qualcosa che prima non c’era, un concetto artistico che mancava nel panorama internazionale e di cui l’Italia è stata la prima e tuttora la grande ispiratrice. Stiamo parlando del design, di un’idea artistica applicata alla realtà quotidiana, di un’eccellenza tutta italiana che dagli ’40 in poi ha rivoluzionato davvero il mondo dell’arredo e della cultura. Quest’anno al Meeting di Rimini in programma dal 20 al 26 agosto, la grande filiera italiana dell’industria di arredamento, FederlegnoArredo, invita il pubblico all’interno della mostra “Benvenuti a casa nostra” dove vengono mostrate le esperienze e molte delle opere di alcuni padri fondatori di questo “Italian design”. Franco Albini, Vico Magistretti, Achille Castiglioni: i “tre tenori” del mondo del design e dell’architettura italiana conosciuti in tutto il mondo sono tra i protagonisti di questa importante mostra voluta fortemente da FLA per presentare come un’eccellenza tutta italiana nasca e possa svilupparsi solo grazie ad ingredienti decisivi come intelligenza, passione ed educazione al lavoro e per il lavoro. In due stanze della mostra ci saranno dunque presenti sia gli schizzi e le progettazioni di opere e prodotti industriali per poter ammirare tutto il lavoro di idea e concezione dell’oggetto prima della produzione, e poi anche le opere realizzate in carne ed ossa, tra le più importanti del panorama architettonico internazionale offerte direttamente dalle fondazioni di questi grandi artisti e architetti italiani. Anche qui, nulla per caso: il ruolo delle fondazioni Albini, Castiglioni e Magistretti che hanno collaborato con FederlegnoArredo per questa grande mostra e che hanno concesso schizzi e opere originali che saranno presenti al Meeting, rilevano proprio il senso profondo del lavoro dei propri padri fondatori. Passione per il mestiere, studio ed esperimenti, divulgazione e apprendimento: sono proprio queste le volontà da esportare della singole fondazioni indipendenti in questi anni dalle scomparse dei tre grandi architetti italiani.
Achille Castiglioni, un uomo che ha rivoluzionato il mondo architettonico con i suoi allestimenti e con i suoi prodotti così semplici come geniali: sedie, letti d’ospedale, lampade. Da Milano fino al MoMa di New York, passando per l’intera Europa, le sue opere iper premiate con vari Compassi d’Oro traducono una delle esperienze più importanti della cultura artistica novecentesca italiana, inventando e portando il design ai valori più alti della cultura. Un artista che esprimeva al meglio la forza del lavoro umile più di ogni altra cosa: «Direi che è meglio ricominciare ogni volta da capo con umiltà perché l’esperienza non rischi di tramutarsi in furbizia», amava dire Castiglioni e di cui tutt’oggi la sua Fondazione ricorda nell’instancabile attività di promozione della sua vita e delle sue opere. Esattamente come accade anche per Ludovico “Vico” Magistretti, autentico protagonista del design e dell’arredo della casa: per lui l’abitare era essenzialmente la base e la prima condizione che rende un uomo persona a tutti gli effetti. Anche qui numerosi Compassi d’Oro e altri riconoscimenti per una carriera che ha saputo coniugare espressività e praticità, vita e arte, senza accorgersi dello stacco tra le due, in un’unica grande composizione. Nemico della volgarità e degli eccessi, amava dire che lo stile del design è una grazia che un uomo deve mettere a frutto con tutto se stesso: «Cerco di andare al nocciolo delle cose e di mettere tutto in discussione: design è idea e concetto, l’oggetto deve avere un senso e deve esserci un cervello che guida la mano di chi lo progetta, altrimenti è nulla». Creatività ed educazione, i grandi temi scegli da FederlegnoArredo per questo Meeting dedicato da sempre al duplice valore di giovani e lavoro, si integrano perfettamente con l’insegnamento spontaneo di questi veri mostri sacri del design e delle loro fondazioni che discendenti, amici e semplici architetti continuano a portare avanti per non perdere quell’immensa ricchezza culturale insita. Castiglioni, Magistretti e anche Franco Albini non erano preoccupati di realizzare eccellenze o di riformare il mondo architettonico, ma semplicemente volevano raccontare la realtà che vedevano e che vivevano con il loro saper fare. Con il loro lavoro e le loro idee trasmettevano senza volerlo tutta la ricchezza incarnata di una nuova concezione di stile, applicato non più al mobilio sfarzoso dei secoli precedenti, ma incentrato sulla realtà quotidiana di tutti i giorni, in una lampada o in una sedia, in una metropolitana come per un palazzo moderno: l’uomo ha bisogno del bello nelle cose semplici, non è retorica ma intelligenza umana.
Franco Albini in questo era eccezionale: visitando la sua Fondazione assieme alla nipote Paola Albini ho potuto osservare tutta la reale ricchezza di idee che questo architetto ha saputo offrire alla città di Milano come alla sua famiglia, ai suoi allievi (tra i tanti ne ricordiamo uno in particolare, un certo Renzo Piano) come all’intera cultura architettonica. «Cerco un gesto, un gesto naturale…», sempre Gaber può aiutarci a comprendere meglio l’intenzione originaria di questo grande architetto scelto da FLA come uno dei simboli delle eccellenze italiane, proprio per l’estrema passione che metteva nel suo lavoro e per la volontà di donare l’Italian design alle future generazioni. La naturalità, la semplicità, il gesto: questo era Albini e le sue opere volte tutte alla scomposizione e alla ricomposizione dell’oggetto seguono questi “dettami” interni allo stile promulgato dal grande architetto brianzolo. L’essenziale, esattamente come per Magistretti e Castiglioni, era il punto di partenza e di arrivo: dal cucchiaio alla città, dal un particolare di una poltrona che diventa poi l’elemento cardine della prima metropolitana milanese con la centralità del colore rosso che ha rivoluzionato il design urbano. Renzo Piano dice di lui che ogni tanto «Albini l’afferrava la bellezza»; un artista che non intendeva sprecare risorse e che dunque riutilizzava tutto per poter mostrare l’essenziale dentro ogni oggetto, meccanismi compresi. Era l’uomo dei “perché”, riferisce chi lo conosceva; il perché le cose erano fatte in un certo modo, insomma per lui, come anche per gli altri due geni del design italiano, ogni componente deve essere visibile ma non deve costare troppo nel complesso, altrimenti viene meno l’altro concetto cardine caro a tutti e tre questi grandi architetti: un prodotto deve essere fruibile e arrivabile da tutti, dal costo fino alla sua utilità, questa è modernità.
“Benvenuti a casa nostra”, il titolo della mostra ispira proprio la curiosità nel conoscere meglio – insieme a tante altre esperienze presentate da FederlegnoArredo – le eccellenze magari meno conosciute dell’italiano modo di pensare e produrre. Una “casa” su cui scommettere anche nell’immediato futuro e non solo una bella esperienza del passato, questo il senso della mostra e anche dell’opera di queste fondazioni di design che, come altre in Italia, sono impegnate per mantenere ed evolvere il più possibile “the italian way of design” in tutto il mondo. Quel design moderno e innovativo che alcuni geni italiani hanno saputo più di altri rendere vivo grazie alla decisiva spinta personale: una tensione alla speranza per una modernità non per forza condannata al peggio. Una modernità più modellata sulla persona che non sull’idea astratta, per arrivare davvero all’essenziale: una “rivoluzione incarnata” di cui probabilmente il signor G ne andrebbe fiero.