Ogni essere umano ha bisogno di ancorarsi concretamente e affettivamente a qualcuno. Ciò vale anche per la facoltà della ragione. A questo proposito è famosa l’espressione agostiniana: Nemo cognoscit nisi per amicitiam, nessuno conosce se non attraverso l’amicizia, completata dalla sua versione passiva: Nemo cognoscitur nisi per amicitiam, nessuno è conosciuto se non attraverso l’amicizia.
In un romanzo di fantapolitica meno autorevole e famoso, I giullari di Dio di Morris West, si incontrano due uomini, il Papa francese costretto alle dimissioni dalla curia per aver avuto una visione circa l’imminente fine del mondo e il suo più caro amico, un teologo tedesco. La cornice è il monastero benedettino nel quale il primo ha trovato rifugio. Alla fine del colloquio egli dice all’amico: “Qui vedo tutto su scala ridotta. Tutto l’amore e la nostalgia e la cura di cui sono capace sono concentrate sul viso umano che mi è più vicino. In questo momento è il tuo viso, Carl: tu e tutto ciò che sei”.
L’esempio più lampante del fatto che la ragione funziona in stretto rapporto con una situazione che interessa si trova negli scritti di don Giussani, non solo perché essi nascono da occasioni ben precise, ma proprio in quanto tra le righe sono riconoscibili volti di persone, difficoltà, scoperte che hanno dato l’avvio alle considerazioni più generali esposte nei suoi libri. In questa unità di attenzione al particolare e di visione metafisica sta uno degli aspetti più riconoscibili del suo pensiero e dei suoi scritti.
Un esempio solo tra i tanti, tratto da Generare tracce nella storia del mondo: “La decisione nasce come l’instaurarsi di una simpatia. Gli apostoli andavano dietro a Gesù perché erano attaccati a Lui con un giudizio che li rendeva capaci di una decisione perfettamente razionale: perché là dove si genera un rapporto che giunge fino a una simpatia profonda, al rinnovarsi di un attaccamento nato da uno stupore imparagonabile, la razionalità è un avvenimento”.
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Del resto uno degli autori preferiti di don Giussani, Giacomo Leopardi, scrive i suoi versi proprio a partire da una consonanza affettiva con un elemento della natura, la luna ad esempio, o la siepe, o la ginestra, che diventa occasione di altissimo canto:
E tu , lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco…
Non diversamente mostra di procedere Martin Heidegger in un piccolo libro pubblicato nel 1965 e tradotto in italiano nel 1977, Pensiero e poesia.
Quando nell’estate i narcisi nascosti fioriscono e la rosa alpina risplende sotto l’acero…
Sontuosità di ciò che è dimesso.
Solo l’immagine conserva un volto.
Riposa dunque l’immagine nella poesia.
Le donne spesso sono maestre in questo modo affettivo di procedimento del pensiero e dell’espressione. Maria Zambrano espone tale sentimento della vita in molte sue pagine; in una di esse scrive: “La vita ci appare, nell’istante del risveglio, come qualcosa che è già lì e in tal senso è indipendente da noi, e tuttavia invoca la nostra presenza. È qualcosa che, accadendo inizialmente dall’esterno, ci invoca affinché entriamo nel suo interno poiché in esso c’è un vano che è solo nostro, di ciascuno di noi”.