Recentemente siamo stati severi con i film italiani sbarcati sulle piattaforme online, soprattutto con quelli che proprio grazie al supporto di Netflix o Amazon avevano ambizioni da esportazione. Crediamo quindi sia giusto invece parlare di un film che, ambizioni estere o meno, è invece riuscito a fare quello che altri non sono riusciti, ossia innestare una propria personalità dentro un meccanismo di genere che guarda a modelli altrui.
Il film in questione è La stanza, diretto da Stefano Lodovichi e distribuito da Prime Video: racconta di una donna (Camilla Filippi) che sta per suicidarsi, ma il cui intento è bloccato dall’arrivo di un uomo (Guido Caprino) che vorrebbe affittare una delle camere della casa. L’uomo si dimostra sempre più invasivo e sinistro, finché l’arrivo del marito di lei (Edoardo Pesce) non fa precipitare la situazione.
Scritto dallo stesso Lodovichi, La stanza è un dramma da camera che presto vira nel thriller e affonda nel fantastico, in cui il mistero iniziale dà al film un deciso sapore di Harold Pinter (la cui prima opera si intitola La stanza e sembra esser stato d’ispirazione per Lodovichi), prima che l’ambiguità sensuale riveli invece un più classico dramma familiare condotto però con cattiveria e voglia di sfondare le pareti, sia in senso teatrale che narrativo.
Perché il vero fulcro del film, e la sua originalità, sta nel modo in cui Lodovichi, lo scenografo Massimiliano Sturale e il direttore della fotografia Timoty Aliprandi lavorano sulla casa, sul luogo, i suoi spazi e le sue atmosfere, facendo in modo che solo attraverso l’immagine di quei muri, finestre, carte da parati, attraverso i colori e disposizioni si possa immaginare l’atmosfera che guarda al gotico moderno, si possa respirare la tensione che poi il racconto elaborerà. Il mondo che è al di fuori della casa e della stanza, il luogo più chiuso di tutta la casa, non si vede mai, non entra mai in scena ma al tempo stesso riversa su di essa e sui personaggi la rabbia, la frustrazione e la violenza che cerca di nascondere.
In questo senso è un film gemello di Lasciami andare, film del 2020 di Stefano Mordini, film di chiusura della Mostra di Venezia e uscito al cinema poco prima che le sale chiudessero di nuovo: non solo perché anche quello racconta una storia di genitorialità perduta e ritrovata, di figli “fantasmi” che ricordano ai genitori colpe e mancanze, ma perché lavora sul dentro e fuori di una casa in modo complementare, lasciando la casa come luogo limite e lavorando sull’esterno, sugli influssi tra dentro e fuori in prospettiva ribaltata.
Lodovichi sa costruire con la scrittura e la regia una bella tensione e sa scardinare le aspettative dello spettatore, così come non si tira indietro di fronte alla durezza del racconto; nel finale, gli cede un po’ la mano per quanto riguarda il tono e la direzione degli attori, sempre tendente all’enfasi, ma la messinscena sa rendere efficaci anche gli scivoloni, confermando La stanza uno dei migliori film italiani di finzione usciti durante la pandemia: fosse questo il vero e sanguinoso lockdown all’italiana?