L’ottimizzazione degli strumenti volti a migliorare il mercato del lavoro, a facilitare il reinserimento dei disoccupati e l’entrata di chi è in cerca di una prima occupazione, anche con riguardo alle fasce più vulnerabili e alle aree più difficili del nostro Paese, riconosce uno dei suoi aspetti più significativi nella piena operatività dei soggetti privati nell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro e nell’espansione della “funzione sociale” delle agenzie per il lavoro, accanto alle quali permangono spazi di interazione tra pubblico e privato che pur rivelano peculiarità e problematiche legate anche al territorio in cui essi operano.



In tale contesto si inscrive la legge 183/2010, il cosiddetto Collegato lavoro. Tra i numerosi e discussi punti affrontati dal provvedimento vi è, infatti, la volontà di potenziare ulteriormente i servizi per l’impiego sulla base dei principi già rinvenibili nella legge 247/2007, in uno con l’obiettivo di valorizzare le sinergie tra i servizi pubblici e le agenzie private per il lavoro. Da notare, però, come l’originario obiettivo sia perseguito dal legislatore non soltanto col tentativo di potenziare la collaborazione tra Apl edistituzioni pubbliche, bensì anche tramite lo sviluppo di istituti e figure trasversali.



Immediato il pensiero all’apprendistato, figura contrattuale cui si vuole dare una nuova centralità vista la sua grande potenzialità – sia grazie alle tre forme nelle quali è strutturabile, che alla sua puntuale forza formativa – ad assumere il ruolo di principale leva di placement, soprattutto per i giovani al di sotto dei trent’anni.

Inoltre, un ulteriore rilievo è stato dato alla Borsa continua nazionale del lavoro e in particolare ai suoi nodi regionali e interregionali, fondamentali per conferire al sistema l’apertura e la trasparenza necessaria a implementare appieno l’integrazione e il coordinamento di un sistema di collocamento che si vuole caratterizzato dalla coesistenza tra soggetti pubblici e privati.



La ratio perseguita dal provvedimento non può che riflettersi positivamente sulla situazione della regione Campania, storicamente in difficoltà relativamente ai tassi di impiego e al funzionamento del mercato del lavoro in generale. Il provvedimento si innesta infatti nel – quasi coevo – processo di implementazione del Piano straordinario per l’occupazione approvato dalla Regione l’8 ottobre dello scorso anno.

Prescindendo da considerazioni più generali sullo stesso, non del tutto positive, in quanto, nell’opinione di scrive, eccessivamente concentrato sul finanziamento pubblico a discapito di una vera politica di sussidiarietà – che potrebbe, invece, garantire risultati più stabili e duraturi, in grado di portare la Regione a vincere una sorta di assuefazione ai finanziamenti pubblici che non può che vedersi come una patologia – occorre concentrare l’analisi sulla parte relativa al “Masterplan regionale” sui servizi per l’impiego.

Tale piano prevede l’attuazione di un’azione di sistema che vada a colmare le lacune presenti nel mercato del lavoro campano tramite l’erogazione di fondi – sempre di derivazione pubblica – a piani provinciali che, per mezzo del sistema degli accreditamenti, vadano a qualificare a livello settoriale l’attività dei Centri per l’impiego rendendola più funzionale.

Senza voler essere eccessivamente critici nei confronti di un provvedimento che nel suo complesso ha comunque dato, nell’immediatezza, discreti risultati, è necessario rilevare come il sistema degli accreditamenti, in questo contesto, sia un passaggio necessario ma non sufficiente a realizzare la ratio ultima di questo istituto.

Il fine dello stesso, infatti, consiste nella realizzazione di un mercato del lavoro in cui lavoratori e datori di lavoro abbiano un’ampia ed effettiva libertà di scelta relativamente all’intermediario, in cui vi sia semplicità e trasparenza delle regole ed efficacia dei servizi nel rispetto dei principi del welfare to work da parte degli utenti.

In tale ottica più opportuno sarebbe stato eliminare l’onere di ulteriori atti amministrativi per i soggetti accreditati, in modo che gli stessi potessero entrare direttamente, una volta accreditati, nella rete regionale dei servizi per l’impiego, analogamente a quanto previsto dalla legge regionale 28 settembre 2006 n. 22 promulgata della Regione Lombardia.

Si attendono a questo punto le prospettive concrete di interazione tra il piano regionale e il Collegato lavoro, dalle quali ben potrebbe scaturire una ridefinizione, o meglio un bilanciamento nell’ottica della maggiore efficienza, del raccordo tra Apl e operatori pubblici.

 

(Maria Giovannone, Ricercatrice Adapt – Centro studi internazionali e comparati Marco Biagi. Marco Viola, Dottorando della Scuola internazionale di dottorato in formazione della persona e mercato del lavoro Adapt – Cqia, Università degli Studi di Bergamo)

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