La Cgil ha commentato oggi sul social network Twitter la proposta lanciata dal giuslavorista e senatore del Pd, Pietro Ichino, riguardo il contratto unico, che viene definita come «una pubblicità ingannevole. Non cancella la precarietà di oggi e ne aggiungerà nuova domani». Secondo la Cgil «non è necessaria la concertazione anni Novanta ma un confronto serio e onesto», quindi «se il governo Monti vuole un accordo, chiami i sindacati e parli chiaro, individuando obiettivi e strumenti. E’ solo buon senso altrimenti è solo tutto fumo per decidere da soli». Infine, per la Cgil «serve un piano del lavoro per i giovani. Usare il contratto di inserimento e di formazione che cancelli i contratti precari a oltranza». Il senatore del Partito Democratico Pietro Ichino risponde a Labitalia, in cui dice che è dispiaciuto del fatto che «la Cgil insista con questa lettura, ma più di quello che ho scritto e detto, per dimostrare l’esatto contrario non posso fare». Intervistato dal “Futurista”, invece, Ichino ha detto che solo con il contratto unico «potrà essere superato il dualismo fra precari e assunti, i quali sono tutelati dall’articolo 18 finché l’azienda va bene ma non quando entra in crisi. I lavoratori hanno invece bisogno di continuità di reddito e rispetto della propria professionalità. Il ministro l’ho sentito più volte, ma il suo piano si baserà sul confronto, non solo sul mio progetto». Inoltre secondo Ichino, «esistono tecniche di protezione diverse che garantiscono la libertà, la sicurezza e la dignità dei lavoratori dipendenti molto meglio dell’articolo 18. E che, soprattutto, non generano dualismo di tutele nel tessuto produttivo, come invece lo genera l’articolo 18». Il senatore Ichino prende invece a modello quelle «tecniche di protezione» che «puntano a fare del mercato del lavoro la fonte principale della forza contrattuale e della sicurezza economica della persona che lavora». Secondo Ichino quindi non vale più l’idea secondo cui «l’unica forma possibile di protezione contro la precarietà sia costituita dall’articolo 18: senza quello, tutti diventano licenziabili e dunque tutti diventano precari, tutti sono privati della libertà e della dignità nel luogo di lavoro.
Se fosse così – continua Ichino – dovremmo concluderne che l’Europa è un continente interamente popolato da precari che lavorano in condizioni non dignitose e di insicurezza, esclusi soltanto i nove milioni di lavoratori dipendenti italiani che godono della protezione dell’articolo 18».