Si sentono beffati, traditi, impotenti di fronte a una decisione ingiusta che sta sconvolgendo le loro vite. Le aziende che – per una serie di ragioni – non potevano più tenerli in carico, avevano proposto loro un accordo ben preciso: siccome gli mancavano pochi anni alla pensione, in cambio del licenziamento volontario avrebbero ricevuto un incentivo che li avrebbe accompagnati all’erogazione dell’assegno e di vivere dignitosamente fino ad allora. Poi, la riforma delle pensioni, entrata definitivamente in vigore dopo che anche il decreto Milleproroghe è stato convertito in legge, ha cambiato le regole in corsa. E, abolendo l’anzianità contributiva  e spostando in avanti l’età anagrafica, ha fatto degli esodati persone che non hanno più un lavoro e che dovranno aspettare 5-6-7 o anche 8 anni prima di andare in pensione, a fronte della promessa di poterci  andare entro 2 o 3. Costoro, nei 4 o 5 anni aggiuntivi, non avranno di che mantenere se stessi e le proprie famiglie. Alessandro Costa, ex dirigente Telecom e referente di un nutrito gruppo di esodati che hanno scritto alle più alte cariche istituzionali e al Parlamento per mettere in luce il loro problema, ci illustra la questione.



Anzitutto, chi siete?

Siamo lavoratori che, prima del 6 dicembre 2011 – data di entrata in vigore del decreto “Salva Italia” – abbiamo firmato un accordo di esodo con l’azienda per la quale lavoravamo, fissando la data di cessazione del rapporto di lavoro al 30 dicembre 2011. L’azienda, come condizione per l’uscita volontaria, ci ha corrisposto un certo numero di mensilità commisurate al periodo che mancava alla pensione.

Ci faccia un esempio.

A me mancavano 49 mesi per andare in pensione e mi hanno offerto 42 mensilità al netto dei benefit presi in precedenza e della contribuzione complementare. C’è chi, ad esempio, avrebbe dovuto aspettare 36 mesi e ha ricevuto 30 mensilità. Per il conteggio degli anni necessari per raggiungere i requisiti contributivi si sarebbe dovuto utilizzare il sistema vigente al tempo della sottoscrizione dell’accordo, quello delle quote.

E invece?

A fronte di questo scenario atteso, la riforma ha aggiunto dai 4 ai 5 anni.

Quindi? Per farci capire, nel suo caso cosa succede?

Io sarei dovuto andare in pensione nel febbraio 2016. Ora ci andrò, invece, a dicembre del 2020; uno slittamento di 4 anni e 8 mesi, nei quali non avrò né salario né pensione.  E, a 58 anni, dove lo trovo un altro lavoro?

Quanti siete?

Abbiamo calcolato che, al 6 dicembre, gli esodati erano 4700. Per 2700 di questi, sono state introdotte delle deroghe che consentono di mantenere i requisiti previsti dal regime precedente.

Solo 2000, dunque?

Spesso si fa confusione: frequentemente si evoca un numero attorno ai 60mila. Ma, in tale cifra, si è soliti far figurare anche categorie lavorative diverse dagli esodati, come i mobilitati, i lavoratori in cassa integrazione o quelli licenziati.

Cosa chiedete?

Che chi ha sottoscritto un accordo ufficiale possa accedere al trattamento pensionistico secondo i criteri precedenti. Attraverso una deroga, quindi. Non vedo altra soluzione per sanare l’ingiustizia che si è venuta a determinare. Nel caso in cui, invece, mancassero i crismi dell’ufficialità sarebbe necessario verificare caso per caso individuando quelli che, effettivamente, hanno sottoscritto un accordo con la propria azienda, pur senza i criteri previsti dall’attuale disciplina per rispettare i quali occorre l’oggettività e l’assoluta identificabilità dell’intesa, oltre al coinvolgimento in essa delle Rsa, dei sindacati nazionali e del ministero del Lavoro.

Perché non è stata trovata la copertura?

Vedo un’estrema rigidità da parte del governo, come se “salvare” gli esodati mettesse in discussione tutta la riforma delle pensioni. Eppure, sarebbero sufficienti 34 milioni euro, 8,5 milioni all’anno per 4 anni. Spero che la partita venga riaperta il prima possibile, possibilmente già nel dibattito in corso sulla riforma del mercato del lavoro.