La riforma del lavoro che a breve approderà in Parlamento prevede diverse modifiche riguardo la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che resta integrale soltanto in caso di licenziamento discriminatorio, in cui il datore di lavoro sarà obbligato al reintegro del dipendente. Questa tutela varrà anche per le aziende con meno di 15 dipendenti che non sono attualmente soggette all’articolo 18, mentre per quanto riguarda i licenziamenti disciplinari, dovrà essere il giudice a decidere tra il reintegro o un indennizzo che può arrivare fino a 27 mensilità. Il testo definitivo della legge aiuterà i giudici a capire in quali fattispecie è opportuno optare per la reintegrazione e in quali per l’indennità. Infine, per i licenziamenti economici, è previsto un risarcimento tra le 15 e le 27 mensilità, tenendo conto anche dell’anzianità del lavoratore, e queste misure verranno applicate a tutti i lavoratori, e non solo ai neoassunti. Queste novità, spiega a IlSussidiario.net Maurizio del Conte, docente di Diritto del lavoro presso la Bocconi di Milano, fanno però sorgere dei dubbi: «Nel caso in cui il giudice stabilisca che non esiste una vera motivazione economica, può tornare a trattare il licenziamento come disciplinare, ipotizzando quindi anche il reintegro e non solo un risarcimento? Questo è un punto decisivo, perché altrimenti nessun datore di lavoro si sognerà mai di intimare un licenziamento disciplinare, rischiando la reintegra, ma licenzierà per motivi economici, con tutt’al più il rischio di pagare l’indennizzo. Se invece, in mancanza del motivo economico, il testo della legge consentirà al giudice di spostare il licenziamento su una motivazione disciplinare, allora in realtà è come se non esistesse alcuna novità. Come è intuibile, questo rappresenta una sorta di svuotamento della norma sul mero risarcimento prevista dai licenziamenti economici, perché di fatto il giudice avrebbe sempre la possibilità di ordinare la reintegrazione anche nel caso di licenziamento economico, passando attraverso la riqualificazione dello stesso come disciplinare».
In Italia avremo quindi un articolo 18 “alla tedesca”. Ma su questo punto Del Conte precisa: «La scelta del giudice tra reintegrazione e indennizzo, in Germania è nella stragrande maggioranza dei casi orientata verso la seconda ipotesi, ma non è detto affatto che anche davanti al giudice italiano sarà lo stesso. In Germania esiste infatti un meccanismo che sostanzialmente induce il giudice a optare per la soluzione economica, in quanto egli valuta la reintegrazione come elemento incompatibile con il corretto svolgimento del rapporto di lavoro, mentre in Italia non assistiamo a questo tipo di procedimento. Nel momento in cui poi un giudice deve decidere se far reintegrare il lavoratore o concedere un risarcimento pecuniario, è immaginabile prevedere che la decisione non sarà tanto influenzata dalla particolarità del caso concreto o dal comportamento del lavoratore, ma dalla particolarità del contesto, geografico ed economico, nel quale si trova l’impresa: il che porterebbe a un’incertezza giurisprudenziale complessiva ancora più accentuata».
Chiediamo infine un giudizio al professor Del Conte sul fatto che la nuova riforma non è rivolta ai neoassunti in particolare, ma a tutti i lavoratori: «Questo è certamente un bene, perché altrimenti si sarebbe rischiato un ulteriore dualismo. Già abbiamo il famoso mercato duale tra protetti e non protetti quindi, se fosse stata applicata solo ai neoassunti, avremmo avuto un ulteriore condizione di maggior favore per coloro che già hanno un posto di lavoro rispetto a quei pochi fortunati che riusciranno ad ottenerlo da qui in poi. E’ un bene anche l’estensione di regole anche alle imprese con meno di 15 dipendenti, ma con qualche dubbio: è chiaro che un’impresa con centinaia di dipendenti potrà permettersi senza troppi problemi il pagamento di un indennizzo di un certo numero di mensilità, ma un’impresa con pochi dipendenti potrebbe non farcela. Bisognerà quindi aspettare l’esatta formulazione, ma nel complesso ritengo che il compromesso raggiunto sia tutto sommato onorevole, minimizzando gli effetti della “manutenzione” dell’articolo 18, che comunque non ha rappresentato la partita più rilevante. Questo perché l’aumento di produttività e di competitività del nostro Paese non passa attraverso questo tema, e mi auguro che di articolo 18, una volta che la riforma sarà stata definitivamente approvata, non si parli più a lungo. L’aver catalizzato l’attenzione di una riforma del mercato del lavoro interamente attorno a una norma che si applica pochissimo e che comunque non produrrà in nessun caso un aumento totale dello stock dei lavoratori impiegati, penso sia stata un’operazione sostanzialmente in perdita».
(Claudio Perlini)