Continua il walzer dei numeri. La battaglia, anzi. Un singolare confronto che vede schierati, da un lato, il ministro Fornero e, dall’altro, i vertici dell’Inps. Tutto ha avuto inizio all’indomani della riforma delle pensioni. La nuova disciplina prevede che i requisiti minimi per accedere al trattamento previdenziale siano decisamente inaspriti. L’età minima per andare in pensione, ad oggi, è di 66 anni e, da qui al 2020, si innalzerà ulteriormente per effetto dell’aumento delle aspettative di vita. Contestualmente, non si potrà andare in pensione, salvo determinate categorie, prima di aver versato almeno 42 anni di contribuiti. Ora, si dà il caso che un certo numero di lavoratori avessero lasciato la propria azienda sulla base di una serie di accordi che avrebbe consentito loro di vivere fino al raggiungimento dell’età pensionabile grazie da un indennizzo. E che, tale età, sarebbe stata raggiunta nell’arco di pochi anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. E’ successo che migliaia di persone, ad oggi, si trovano senza lavoro con la prospettiva di andare in pensione anche 4 o 5 anni dopo che il loro indennizzo sarà terminato. Il ministro del Welfare, Elsa Fornero, ha deciso di salvaguardare, ovvero di consentire il mantenimento del precedente regime, 65 mila persone. Nel frattempo, la politica e i sindacati hanno denunciato il fatto che, da qui ai prossimi anni, si sarebbero trovati in una situazione analoga fino a 300mila persone. In tutta risposta, il ministro ha replicato, in sostanza, che, per allora, si vedrà il da farsi. Poi, pochi giorni fa, è emerso un documento pubblicato dall’Inps secondo il quale, tra esodati veri e propri, lavoratori afferenti ai fondi di solidarietà o in mobilità lunga, le persone interessate sono 390.200. Ebbene: oggi, in Senato, la titolare del Welfare ha respinto, anzitutto, l’accusa di aver fornito dati falsi. E ha aggiunto che alla platea iniziale di 65.000 lavoratori esodati, ne vano aggiunti altri 55.000. «La nuova platea di lavoratori da salvaguardare – ha dichiarato – è quantificabile in circa 55.000 persone di cui 40.000 in mobilità ordinaria», Ha, inoltre, ribadito, che la cifra fornita dall’Inps «non è il numero dei lavoratori da salvaguardare».
Il ministro, rispetto agli ulteriori 55mila ci ha tenuto a precisare che saranno individuate le risorse necessarie per garantire loro un reddito. Ma che «l’onere da corrispondere sarà sottratto a risorse da usare per altri impieghi ugualmente rilevanti da un punto di vista sociale».