La Fornero non demorde. L’ammissione dell’esistenza di un’ulteriore platea di 55mila esodati non è una concessione a chi sostiene che i salvaguardati mediante deroghe non possano limitarsi ai 65mila da lei individuati; al contrario, conferma l’arroccamento sulle proprie posizioni. Il totale, infatti, fa 120mila. Tanto per ribadire che l’Inps ha sbagliato i calcoli e che i 390.200 esodati veri e propri, mobilitati, afferenti e fondi di solidarietà stimati sono il frutto di un processo fuorviante. «La Fornero dice che i dati dell’istituto previdenziale sono sbagliati. Ma non li confuta. Semplicemente, ha la sensazione che siano sbagliati. Una sensazione, guarda caso, suffragata dalle esigenze di bilancio in termini di risparmio sulle pensioni», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Alessandro Costa, ex dirigente Telecom e referente di migliaia di esodati. Anche affermare che ne esistano altri 55mila è indice di un tale atteggiamento. «Non è pensabile che il numero degli esodati cambi a tranche di 55-60 mila ogni sei mesi come dice la Fornero. Non c’è nessuno in Italia, tra i politici, i sindacati, le istituzioni o gli istituti di ricerca, che sostenga la verosimiglianza dei numeri del ministro». Eppure, disporre del computo preciso non dovrebbe essere impresa particolarmente complicata. «Sarebbe sufficiente indicare a tutti i lavoratori interessati di recarsi all’Inps e presentare la documentazione relativa agli accordi individuali stipulati con la propria azienda». Se non si procede in tal senso, ci sono dei motivi ben precisi: «Si è fatta un’operazione inversa rispetto a quella più ragionevole. Prima, si sono individuate le risorse necessarie e, in base e queste, si è stabilito quanti fossero gli esodati. C’è un vincolo di bilancio su cui Monti si è espresso nei confronti delle Comunità europea e manca la volontà di correggere i calcoli. Di fronte, tuttavia, alla manifesta impossibilità di mantenere le cose così come stanno, sarebbe necessaria una marcia indietro. Parliamo pur sempre di persone che non lavorano e che non hanno di che vivere». Peccato che i conti dell’Inps fossero in ordine: «L’istituto incamera 150 miliardi l’anno di cui solo 130 vengono immessi nel sistema previdenziale. Il resto, è utilizzato per attività legate al welfare che, tuttavia, dovrebbero essere espletate da un istituto differente».
Come se non bastasse, la titolare del welfare, tra coloro che rientrano nei 55mila, ha ipotizzato di salvaguardare esclusivamente coloro che abbiano superato i 62 anni di età. «Ci sono persone che hanno 60 anni e sono uscite dal lavoro. Nel frattempo, in attesa di raggiungere l’età stabilita, di cosa vivranno?». Secondo Costa, il ministro non ha tenuto conto, tra le altre cose, del fatto che le famiglie rappresentano il primo ammortizzatore sociale. «I giovani disoccupati trentenni riescono a sopravvivere, spesso, solo grazie all’aiuto che gli forniscono i genitori pensionati».
(Paolo Nessi)