Silvio De Natale, classe 1953, “esodato”, da Udine scrive:
Egregio Sen. Maurizio Castro,
Ho letto con sgomento la sua intervista a ilSussidiario.net. Ritengo che le argomentazioni contenute nell’intervista mettono in evidenza una conoscenza del tutto parziale della realtà “esodati” e ciò mi preoccupa molto visto che in seno alla Commissione Lavoro Senato si sta discutendo sul decreto “spending review” e quindi anche sul destino degli esodati e delle loro famiglie.
Un anno fa, in tempi non sospetti, scrissi al Presidente Napolitano, massimo garante della Costituzione e delle istituzioni italiane, per evidenziare la situazione in cui versavano i cosiddetti “esodati” (termine che quasi nessuno conosceva e la cui dimensione era sconosciuta), con particolare riguardo a coloro che avevano lasciato l’azienda avendo sottoscritto un accordo consensuale di uscita, in virtù di una legislazione previdenziale vigente, con un ben preciso orizzonte temporale per il conseguimento del diritto alla pensione.
Già allora il Governo in carica aveva introdotto una norma iniqua e incostituzionale che prevedeva una finestra di ben un anno tra la maturazione del diritto alla pensione e l’erogazione della stessa (un intero anno di pensione regalata allo Stato per sanare i debiti inopinatamente contratti). Inoltre, sempre lo stesso Governo aveva sancito, con un’altra norma iniqua e incostituzionale, che i prosecutori di contribuzione volontaria, autorizzati dall’Inps a seguito di cessazione del rapporto di lavoro (quindi con un ben preciso arco temporale per il conseguimento del diritto alla pensione), non potessero fruire delle regole previdenziali previgenti in caso di intervenute modifiche legislative delle stesse.
A dicembre 2011 salutammo, quindi, con entusiasmo la riforma delle pensioni (“Salva Italia”), che introduceva il contributivo (ristabilendo un corretto rapporto tra il versato e il maturato e quindi riequilibrando il cosiddetto “patto generazionale”), ma abrogava le “finestre” e ristabiliva la sacrosanta “salvaguardia dei contributori volontari” che avevano perso il lavoro! D’altro canto, non era e non è pensabile che a fronte di una formale autorizzazione rilasciata dall’Inps alla prosecuzione dei versamenti, con evidenti pesantissimi oneri a carico dei singoli contributori (NON a carico di ammortizzatori sociali e quindi della collettività) e quindi con una rigorosa pianificazione economica delle rispettive famiglie, improvvisamente qualcuno cambi le regole e ti dica che gli oneri sostenuti e gli sforzi profusi non valgono più! Nel mio caso, uscito dall’azienda nel 2010 con un orizzonte temporale di quattro anni (quota 97 nel 2014), il diritto alla pensione verrebbe proiettato nel 2020, cioè ulteriori 6 anni oltre ai 4 previsti! Ma che abnormità di contributo (6 anni di pensione) mi viene richiesto per sanare il debito pubblico procurato da altri?!
Purtroppo, però, la storia non finisce qui e quanto è successivamente accaduto e continua ad accadere ancora oggi è assolutamente inaccettabile e vergognoso per uno Stato di diritto. Invece di porre rimedio a un errore di valutazione sulla dimensione degli esodati, si introducono, con un accanimento inusitato nei confronti di coloro che hanno perso il lavoro (come se fossero cittadini di serie B), norme contradditorie, discriminatorie e incostituzionali. I successivi decreti sulla salvaguardia di 65mila esodati (peraltro non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) e quello riguardante gli ulteriori 55mila, ne sono un evidente esempio. La logica economica su cui si fondano trasforma la logica del diritto in una lotteria o peggio in una roulette russa.
Quello che chiediamo, come onesti cittadini di questo Stato, come veterani contributori al Pil di questo Paese, come puntuali contributori fiscali di questo Paese, come elettori sanciti dalla nostra Costituzione (che voteranno alle prossime elezioni), che venga ripristinato lo Stato di diritto! La salvaguardia degli esodati deve essere riportata a una logica della “maturazione del diritto alla pensione”, non a quella discriminatoria e incostituzionale dei “numeri salvabili” sulla base delle risorse messe a disposizione.
Sarebbe veramente beffardo salvaguardare nuovi esodati prodotti dall’annunciata riduzione degli organici statali, senza risolvere le posizioni ancora appese, che peraltro avevano sottoscritto accordi in tempi non sospetti, ovvero antecedenti alla riforma delle pensioni. O salvaguardare le pensioni d’oro invocando il diritto acquisito e negando il diritto degli accordi sottoscritti dagli esodati.
Se è vero che siamo ancora in uno Stato di diritto, se le forze politiche hanno ancora un ruolo in questo Paese questo è il momento di dimostrarlo, evitando di rendersi corresponsabili di questo scempio di legalità.