È forse destino che le dichiarazioni dei ministri del Lavoro del nostro Paese rivolte agli studenti diventino regolarmente gaffes che scatenano polemiche inutili. Certo, l’affermazione di Giuliano Poletti secondo cui è meglio laurearsi a 21 anni, non importa con che voto, piuttosto che a 28 con pieni voti rientra pienamente in questo elenco di affermazioni da bar. Eppure ha detto una cosa che io come padre di due universitarie non solo condivido, ma ho più volte ripetuto alle mie figlie. Non importa se pensavi di meritare di più a un esame, cerca di fare in fretta a laurearti e sarà il lavoro a determinare il tuo percorso lavorativo, non certo un punto in più di media.
Vi è un però a cui prestare attenzione. Io non sono ministro e la verità paterna può essere accettata perché non porta la responsabilità di una scuola che può essere riformata e indurre anche i giovani a cambiare mentalità. Se il ministro avesse introdotto il suo pensiero accennando a una piccola autocritica sulle scelte del governo forse sarebbe stato capito. La riforma della scuola appena approvata contiene alcuni passaggi immediatamente percepibili per gli insegnanti, ma poco per famiglie e alunni. Se avesse previsto di accorciare di un anno il percorso di studio riducendo a 4 anni le scuole superiori o a 6 il percorso d’obbligo iniziale avrebbe reso evidente che il governo stava facendo quanto auspicato dal ministro perché anche i nostri giovani arrivino prima sul mercato del lavoro.
Perché il tema di rendere omogeneo il percorso scolastico con quello dei giovani degli altri paesi europei esiste, ma non può risolversi con appelli alla buona volontà degli studenti eludendo le responsabilità della politica.
La polemica sulla dichiarazione del ministro ha però oscurato il contesto in cui avveniva. Al convegno di Job&Orienta è stata presentata la graduatoria con cui sono stati selezionati 300 centri di formazione professionale che opereranno come centri per l’avvio del sistema duale di formazione e lavoro. Saranno perché i centri, oltre a formare professioni e occupabilità per molti giovani, sono ritenuti in grado di gestire anche percorsi di inserimento lavorativo.
I 300 centri sono distribuiti su tutto il territorio nazionale e per accedere hanno fornito i dati su quanto già realizzano e come sono organizzati. Alla fine a fare la differenza era la valutazione di quanto già erano in grado di fare nei percorsi scuola-lavoro e di come fossero quindi in grado di sperimentare inserimenti lavorativi durante il percorso formativo rilanciando un contratto di apprendistato di primo livello che era stato completamente dimenticato in questi anni.
La concentrazione di centri di formazione che ottengono buoni punteggi li troviamo ovviamente in quelle regioni che in questi anni, anche con modelli diversi, hanno rilanciato tali percorsi scolastici. Ricordiamo che la formazione professionale è stata considerata a lungo come scuola di ripiego, talvolta inutile o comunque solo riempitivo per arrivare all’età lavorativa.
Le regioni che hanno rilanciato i corsi hanno invece colto due obiettivi: operare un impegno serio per contrastare l’abbandono scolastico che era a livelli preoccupanti in molte zone del Paese; rimettere in moto percorsi formativi per il recupero di professioni che pur avendo richiesta da parte delle imprese non trovavano nel sistema scolastico tradizionale nessun percorso dedicato.
Primo a livello nazionale è risultato il centro di formazione Galdus di Milano. Risulta in testa assieme alla Regione Lombardia, che è il territorio che ha portato il maggior numero di centri di formazione a superare il limite di punteggio minimo richiesto dal bando ministeriale.
Da qui due osservazioni di merito. Il sistema lombardo ha scommesso sulla libertà di scelta delle famiglie. I centri formativi accreditati contribuiscono a formare l’offerta formativa che si rinnova ogni anno. Sono le famiglie che ottengono il contributo allo studio che scelgono dove iscrivere i propri figli aiutati dalla trasparenza con cui i centri indicano l’efficacia degli inserimenti lavorativi ottenuti negli anni precedenti. Il modello lombardo non chiude peraltro ai tre anni i percorsi, ma per chi ha recuperato la disponibilità a frequentare la scuola permette di riprendere il percorso scolastico tradizionale pensando al 4° e 5° anno degli istituti tecnici superiori.
Galdus è una realtà con oltre 1.000 studenti nella sua sede principale. Ha corsi per cuochi, baristi, capisala, tecnici elettrici ed elettronici, informatica e informatica design, meccanici, orefici, frigoriferisti. Ogni corso vuole la collaborazione attiva con aziende del settore e con associazioni di imprese che contribuiscono a definire i contenuti tecnici dei corsi, fornire insegnanti o tutor per le aule e, dove necessari, i macchinari utili per la formazione. Già oggi i corsi offrono molte occasioni di stages lavorativi dove applicare quanto appreso nei laboratori scolastici. La possibilità di operare dal terzo anno attraverso il sistema duale, quindi con una consistente quota di formazione “on the job,” è lo sviluppo naturale per un’esperienza da sempre caratterizzata dal desiderio di riportare alla passione per la conoscenza attraverso la scoperta della sua utilità nella professione scelta.
Sono due best practice, quella della Regione con il modello più efficace, e quello di una scuola che può essere di esempio per una nuova alleanza scuola-lavoro.