I dati dell’ultimo rapporto Ocse “Strategia per le competenze per Italia” indicano per il nostro Paese un evidente scollamento tra il sistema formativo e quello produttivo. Uno tra tutti è emblematico della situazione: il 35% dei lavoratori italiani è impiegato con mansioni diverse da quelle per le quali si è preparato con un percorso di studi. Anche lo stridente divario tra la richiesta non soddisfatta di tecnici da parte delle aziende e il preoccupante dato della disoccupazione giovanile (costantemente oltre il 30%) fa pensare che qualcosa non funzioni nelle scelte relative al percorso di studi da intraprendere da parte dei giovani italiani.
Sull’analisi delle cause del fenomeno si sono spesi fiumi di parole in articoli e convegni e si sono poste in essere attività a vario livello, ma all’apparenza gli sforzi profusi non hanno portato a un evidente cambiamento della situazione. Innanzitutto è importante ricordare che la scelta principale, che condiziona a volte in modo determinante il futuro dei giovani, è quella che avviene dopo la scuola media e probabilmente proprio in questo campo il nostro sistema formativo mostra i limiti più evidenti. D’altro canto, i progetti relativi all’orientamento scolastico condotti sia dalle singole scuole, sia da reti di istituti e da associazioni datoriali territoriali o nazionali si sono via via diffusi e sono migliorati in qualità e capacità di coinvolgimento dei giovani.
Cosa non funziona allora? Tra i molteplici fattori che possono essere considerati credo siano principalmente due quelli sui quali soffermarsi. Il primo riguarda il fatto che la scelta del tipo di formazione viene liberamente effettuato dalle famiglie e dai ragazzi e quindi i fattori che pesano sulla decisione sono facilmente influenzati da convinzioni spesso distorte o addirittura prive di fondamento. L’esperienza vissuta dai genitori o da persone vicine alla famiglia determina scelte che non tengono conto del fatto che ogni persona ha una propria attitudine e che comunque un’esperienza formativa di altri è stata vissuta in tempi e situazioni diverse. Il fatto che il figlio del vicino di casa sia avvocato di successo dopo aver intrapreso studi liceali non deve far pensare che il proprio figlio per realizzarsi nella vita debba fare scelte analoghe e non possa in modo altrettanto soddisfacente diventare un tecnico specializzato iscrivendosi a un istituto professionale.
Il secondo è determinato dal fatto che per la decisione si fa sovente riferimento a “mode” temporanee, spesso legate a messaggi pubblicitari televisivi che poi non hanno riscontro con le reali richieste del mondo del lavoro. Esemplare in questo senso il grande incremento delle iscrizioni alle scuole legate alla ristorazione a seguito del proliferare di trasmissioni televisive dedicate alla cucina. In tutti e due i casi risulta fondamentale una corretta informazione.
È proprio questo probabilmente il punto debole dei sistemi di orientamento che si propongono ai giovani; ma quali caratteristiche dovrebbe avere una corretta informazione sui percorsi formativi? L’informazione deve necessariamente partire da un’approfondita e obiettiva analisi dei fabbisogni occupazionali del territorio e quindi basarsi su una visione di assieme e di prospettiva futura. Se il sistema formativo territoriale vorrà preparare persone che, oltre a possedere la doverosa formazione culturale, abbiano le necessarie competenze per un agevole inserimento nel mondo del lavoro, non potrà prescindere da seri studi di programmazione e indirizzare di conseguenza l’offerta formativa. Quindi una visione e una programmazione di territorio che sia il più possibile slegata da “interessi di campanile” o dalla necessità di sopravvivenza di singoli istituti.
Si dovrà inoltre tener conto di un fatto fondamentale: il mondo produttivo è in evoluzione sempre più rapida e molti dei lavori per i quali stiamo formando i nostri giovani tra qualche anno non esisteranno più. La possibilità quindi che in un prossimo futuro i lavoratori posseggano le competenze richieste dipende dalla capacità del sistema formativo di prevedere i mutamenti e comunque di fornire a ognuno “una cassetta per gli attrezzi” che permetta di affrontare con flessibilità problemi sempre nuovi.
Visione di territorio e di prospettive future dovranno quindi guidare i decisori politici verso un interesse collettivo e coordinare gli sforzi di informazione e orientamento per i giovani. Lasciare le attività di orientamento in mano ai singoli istituti, come in molti casi attualmente avviene, non può che portare a una sorta di competizione tra scuole per assicurarsi il maggior numero possibile di studenti e a un’informazione parziale e fuorviante.
Informare e guidare i giovani in modo corretto vuol dire non solo dare a ognuno la possibilità di un futuro di soddisfazione, ma soprattutto contribuire a uno sviluppo del benessere collettivo.