Con l’avvicinarsi della data dei referendum proposti dalla Cgil sui voucher e le norme sugli appalti, si registra una ripresa del dibattito sui temi della concezione del lavoro. La Corte Costituzionale ha escluso il quesito più ideologico relativo all’articolo 18 che risultava non solo abrogativo di quanto previsto nel Jobs Act, ma diventava un intervento “legislativo” in quanto ampliava la platea di imprese dove applicare le norme previste nella vecchia legislazione.
Era il tema più ideologico in quanto intorno alla definizione di quali sono le tutele più adeguate oggi per il lavoro vi è stato uno scontro costante, acceso in occasione di tutti gli interventi riformatori degli ultimi anni, fra chi sottolineava i mutamenti avvenuti nei rapporti di lavoro e chi riteneva che qualunque intervento riformatore fosse un favore alla precarietà del lavoro.
La realtà era un mercato del lavoro dove vi era un dualismo marcato fra chi godeva di tutele tali da rendere bloccata la mobilità soprattutto intergenerazionale e che limitava la dimensione di impresa, e un’altra parte di lavoratori che non avendo tutele era oggetto di continui ritocchi a forme contrattuali precarizzanti. I giovani erano la fascia più colpita da questo dualismo del mercato.
A ciò si aggiungano i cambiamenti indotti dalla trasformazione dei cicli produttivi, all’impatto che le nuove tecnologie hanno sull’organizzazione del lavoro. Ciò ha prodotto il passaggio da un lavoro (una professione) a vita, a una vita caratterizzata da diversi lavori e talvolta professioni completamente diverse. La stessa vita delle imprese è cambiata. Quella media registrata dalle Camere di Commercio è calata negli ultimi anni (anche pre-crisi economica).
Servizi di formazione permanente, servizi al lavoro che sappiano prendere in carico le persone per favorire la loro occupabilità nelle fasi di cambiamento sono le ragioni che fanno dire che il vero articolo 18 oggi è la formazione. È con servizi al lavoro estesi a tutti che si tutela la dignità dei lavoratori e non con vincoli che vengono poi travolti dalle trasformazioni in atto.
A ciò si aggiunga che con i nuovi contratti a tutele crescenti non è salita solo l’occupazione complessiva, ma vi è una ripresa (e questo era l’obiettivo) di crescita dei contratti a tempo indeterminato. Se si guarda la realtà, le posizioni ideologiche non hanno dati reali su cui appoggiarsi, ma dovendo sopravvivere si appoggiano oggi alla questione dei voucher. Ecco allora una ripresa di slogan sulla nuova precarietà che sarebbe nascosta nell’esplosione di utilizzo dei voucher.
Anche qui se si partisse dalla realtà il tema sarebbe affrontato con molta più ragionevolezza. Complessivamente l’uso dei voucher copre poco più dell’1% delle ore complessivamente lavorate. Quasi il 50% è utilizzato per paghe rivolte a giovani o molto anziani, quindi presumibilmente per lavori part-time fatti per arrotondare altri redditi. Lo strumento voucher, così come immaginato dalla riforma Biagi che lo ha introdotto, è ancora per lo più utilizzato per lavoretti che altrimenti sarebbero gestiti in nero. Si tratta quindi di uno strumento che ha permesso e favorito l’emergere di lavoro che era prima occultato e che favoriva l’evasione, fiscale, contributiva e sulla sicurezza.
In qualche caso, che è stato molto enfatizzato, ha coperto nuove forme di sfruttamento. I casi dei braccianti sfruttati dal sistema di caporalato nel sud, quanto emerso in alcuni cantieri edili in tutto il Paese sono stati strumentalizzati per incolpare lo strumento di favorire nuove forme di sfruttamento. In realtà, sono forme antiche che hanno usato i voucher, ma torneranno a usare altri strumenti se non vi sarà un’azione decisa di repressione verso il caporalato e il lavoro irregolare. Laddove si è agito per colpirli, come ha fatto il ministro dell’Agricoltura dopo i fatti pugliesi, si è visto che non era il voucher il colpevole, ma un sistema di sfruttamento di lavoratori che non avevano tutela alcuna.
Per riproporre una visione del lavoro legata al passato delle relazioni industriali si concentra sulla questione voucher il tentativo di sostenere che tutta la riforma del mercato del lavoro ha favorito nuove precarietà invece di nuove stabilità e tutele. È per questo che l’avvio di iniziative parlamentari per riformare lo strumento voucher, i tavoli di confronto con le organizzazioni sindacali per concordare le revisioni e superare il referendum, hanno assunto un interesse significativo. Il punto di partenza è ripartire col piede giusto riportando lo strumento voucher alla sua originaria utilità e correggere gli errori di applicazione che sono emersi.
Il voucher è stato introdotto per pagare lavori saltuari, fatti senza continuità, non riferiti al core business in caso di collaborazioni con imprese. Sono tipicamente i lavori prestati per le famiglie, dalle babysitter alle ripetizioni o per piccole manutenzioni casalinghe. In altri casi sono lavori stagionali limitati, spesso prestati da non lavoratori (studenti o pensionati). Da qui il limite posto al totale di reddito individuale per anno e il limite di reddito ottenuto dal singolo committente.
Come emerge dai vincoli cui fin dall’inizio era sottoposto lo strumento voucher, era facilmente programmabile un sistema di rilevamento che, controllando gli incroci fruitore -committente, permettesse il controllo e l’intervento in caso di evidenti abusi. Che la nostra burocrazia sia risultata ancora una volta incapace di prevedere verifiche di efficacia non stupisce, ma lascia allibiti di fronte a un’iniziativa che in qualunque struttura privata sarebbe stata applicata anche in assenza di indicazioni specifiche.
Ora appare chiaro che per non buttare il bambino con l’acqua sporca è indispensabile operare una ripartenza. Ripartire dall’idea originaria, dei lavori per le famiglie, ma dove non erano escluse le collaborazioni con le imprese purché nei limiti indicati. Ma a ciò si aggiunga un controllo incrociato dei dati. È interesse di tutti usarli per fare emergere il lavoro sommerso e rafforzare gli strumenti per colpire i nuovi schiavisti che non nascono con i voucher, ma, anzi, con le verifiche sui voucher possono essere perseguiti e messi in difficoltà.