È ormai passata da tempo la giornata della donna, con la pur giusta retorica delle pari opportunità che ha altrettanto giustamente preso il posto della stiracchiata logica dell’uguaglianza. Sì, stiracchiata. Perché uno dei valori della presenza femminile, nel mondo del lavoro come nella società, sta proprio nella diversità, nelle differenze, nel contrasto che esiste, come dato di fatto naturale, tra uomo e donna fin dalla creazione del mondo.
Ma anche le pari opportunità hanno molto terreno da guadagnare soprattutto nella situazione italiana dove si parla tanto di riforma del mercato del lavoro (studiata, proposta e difesa da un ministro al femminile, Elsa Fornero), ma dove resta ancora in secondo piano la partecipazione femminile.
Come sottolinea un libro dal titolo molto esplicito “Valorizzare le donne conviene” di Daniela Del Boca, Letizia Mencarini e Silvia Pasqua (Ed. Il Mulino, pagg. 126, € 12,50) ci sono state almeno due rivoluzioni silenziose che hanno interessato il mondo femminile: la prima per l’istruzione ed è stata pienamente compiuta, la seconda per il lavoro che si è inceppata e vede ora le donne “intrappolate in una partecipazione lavorativa bassa e segregata”.
Eppure in un momento come l’attuale, in cui appare fondamentale sfruttare ogni più piccola possibilità per rimettere in moto il meccanismo della crescita, cercare di valorizzare il lavoro femminile dovrebbe apparire doppiamente positivo: in primo luogo, perché più lavoro equivale a più reddito, più consumi, più produzione dando così una spinta positiva al meccanismo dell’economia; in secondo luogo, perché come dimostra l’esperienza di molti paesi, una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro è direttamente proporzionale a una maggiore tasso di natalità e quindi a un più elevato incremento demografico.
In quest’ultima prospettiva l’Italia peraltro ha un doppio record, che possiamo tranquillamente considerare negativo: il più basso tasso di natalità, ormai al di sotto del tasso di sostituzione, e la più bassa quota femminile al lavoro, il 46% il che vuol dire dodici punti meno della media europea.
L’Italia avrebbe bisogno come l’ossigeno di una sana politica demografica, una politica che nei decenni passati è sempre stata “dimenticata” perché simbolicamente collegata al fascismo e quindi da condannare come tutti gli altri simboli del ventennio. Ma ora non si tratterebbe di “dare figli alla patria”, quanto di garantire quell’equilibrio tra le generazioni che peraltro è ormai largamente compromesso con pesanti ricadute sui costi della previdenza e della sanità.
Una riflessione sulla necessità di politiche attive per il lavoro femminile, soprattutto con interventi ben definiti per conciliare i tempi di lavoro con quelli delle famiglie, appare quindi fondamentale. Una riflessione che avrà un suo sviluppo anche in molti appuntamenti dell’incontro internazionale delle famiglie che si svolgerà a Milano tra fine maggio e inizio giugno con la partecipazione di Papa Benedetto XVI. Perché la famiglia e il lavoro non possono che esaltare la dignità della donna. E aiutare la crescita, non solo materiale, della società.