Tra le tracce proposte dal Miur per la Prima Prova della Maturità 2023 – tipologia C, tema d’attualità c’è anche “Elogio dell’attesa nell’era di WhatsApp” dello scrittore, critico letterario e insegnante Marco Belpoliti. Il testo proposto tratta dell’atteggiamento comune nelle nuove generazioni e non solo di non saper più attendere in un costante desiderio di volere tutto e subito.

SVOLGIMENTO TRACCIA C2 – Testo “Elogio dell’attesa nell’era di WhatsApp” di Marco Belpoliti

L’incapacità di attendere al giorno d’oggi – la malattia del “tutto e subito”

Attendere, condizione naturale ma rifiutata dall’uomo.

L’attesa è per definizione “il tempo trascorso nell’aspettare”. C’è differenza, chiaramente, tra un’attesa carica di gioia e aspettative e l’attesa di qualcosa di incerto. L’attesa di qualcosa di bello racchiude dentro di sé qualcosa di molto più grande e importante o meglio, racchiudeva. Era l’emblema del desiderio, della speranza, era ciò che, separandoti dalla realizzazione di un sogno, veniva vissuto come parte del sogno stesso, caricandosi di energia positiva. Non c’è da stupirsi del fatto che i tempi siano cambiati: la vita al giorno d’oggi è frenetica e inarrestabile e siamo stati tutti risucchiati nel vortice.

Si legge nel testo di Marco Belpoliti: “Eppure tutto intorno a noi sembra segnato dall’attesa: la gestazione, l’adolescenza, l’età adulta. C’è un tempo per ogni cosa, e non è mai un tempo immediato”. Saremmo “progettati” per attendere, in fondo la vita stessa è un’attesa continua; si attende sempre una novità che spezzi la monotonia, e dopo quella, torniamo ad aspettarne un’altra e anche se tendiamo ad accantonare il pensiero, siamo sempre in attesa della morte. Ma le attese che ci mandano in tilt sono quelle a breve termine, come scrive Belpoliti, l’attesa di un messaggio, di una mail di risposta ecc.

La tecnologia ha fatto anche questo, ci ha trasformati in impazienti e rancorosi esseri del “tutto e subito”. Non si possono aspettare senza sbuffare e lamentarsi dieci minuti alle Poste, cinque per ricevere una mail di risposta e quindici per avere una pizza al ristorante. Sono sicura che non sia colpa nostra, ma dell’avanzare della tecnologia a un ritmo al quale non riusciamo a stare dietro.

Da qualche anno, metaforicamente, stiamo correndo dietro alla tecnologia per stare al passo con lei e le stiamo anche dietro, adeguandoci ai suoi ritmi ma essa è sempre qualche passo avanti e il risultato è mangiare un po’ della sua polvere. Questa polvere si deposita in noi, appannando la visione. Aspettare non è più condizione naturale dell’essere umano, diventa sinonimo di perdere tempo.

Realtà diverse – l’attesa come momento di distensione

Non dappertutto l’attesa è vissuta come un momento di ansia per la perdita di tempo che comporta. Per rendersene conto a pieno bisogna volare a Zanzibar, isola della Tanzania al largo delle coste dell’Africa orientale. Lì, oltre che respirare un’altra aria e stare sotto un cielo così vicino che sembra di poterlo toccare, passando in macchina lungo le strade costeggiate da filari di manghi si vedono molte persone che stanno in piedi o sedute a guardarsi intorno. Ingenuamente si può pensare che siano alla fermata di un autobus ma non sembravano essercene alcune. Così chiesi alla guida cosa stessero facendo e lui, con un bel sorriso, mi rispose che loro essenzialmente “stanno”. Le persone si prendono qualche minuto, che possono essere cinque o venti, per semplicemente “stare”. Questo concetto è emozionante se messo a confronto con le nostre vite. Qui lavoriamo cinque/sei giorni a settimana, cercando di incastrare un’infinità di impegni e commissioni e c’è sempre qualcosa che non troviamo il tempo di fare. Pretendiamo tutto e subito forse anche perché non c’è il tempo materiale di aspettare, sovraccarichi come siamo di cose da fare. Lì, fermarsi e aspettare il nulla, o di essere meno stanchi e pronti per ripartire, o di vedere se passa qualcuno a cui fare un sorriso e a cui chiedere come va è la norma e risulta strano, dopo, ripensare alla nostra vita.

Il progresso tecnologico, l’immensità dei metodi che abbiamo oggi per fare in tre minuti le cose che prima venivano fatte in tre giorni, ci ha fatti diventare viziati, abituati a cliccare un tasto e ottenere ciò che vogliamo. L’attesa nella nostra società diventa quasi sinonimo di debolezza. Chi attende non ha i mezzi o le capacità per ottenere ciò che vuole o non riesce a stare al passo.

Il tempo sembra scorrerci addosso, sembra voler scappare da noi quando non è così e forse dovremmo razionalizzare e tradurre in realtà che cinque minuti al giorno, nell’ottica di una vita possiamo prenderli per “stare”, per stare ad aspettare una mail o un volo, o a uno sportello.

L’attesa in letteratura – un momento di riflessione

Leopardi ne “Il sabato del villaggio” con le sue parole carezzevoli ci presenta l’immagine di un paese che freme nell’attesa dell’arrivo del giorno di festa e paragona la speranza che anima la fanciullezza all’attesa piena di felicità di quel giorno. Leopardi esorta un fanciullo a cui idealmente si rivolge a non avere fretta di arrivare all’età adulta perché le aspettative saranno deluse, stessa cosa vale per il giorno di festa: sarà più gioiosa l’attesa e la preparazione che il giorno di festa in sé. Questa poesia è il simbolo dell’attesa come momento di felicità, più del momento in cui si arriva al compimento delle cose, che probabilmente saranno deludenti. In letteratura l’attesa è un elemento fondamentale ed è sempre accompagnato da riflessioni, “tuffi di testa” nel proprio io. Nel romanzo “Un amore” di Dino Buzzati, mentre Dorigo aspetta il momento in cui vedrà Laide, si lascia andare in riflessioni sulla sua condizione di uomo innamorato di una ragazzina, sui problemi di lei, descrive il panorama che lo circonda con dettagli minuziosi che può cogliere solo un occhio attento. L’attesa non è mai un momento inutile, non è mai trascurabile.

Credo che dovremmo cambiare totalmente prospettiva riguardo all’attesa, convertirla in un momento in cui possiamo per qualche minuto uscire dalla frenesia del quotidiano e riconnetterci alla realtà.

Noi – uomini macchine

Il nostro mondo è diventato un mondo in cui l’importante è che funzioniamo, siamo finiti a rifiutare le attese, brevi o lunghe che siano, perché intralciano il nostro funzionamento. È triste essere arrivati al punto in cui neanche noi stessi riusciamo a capire che siamo umani e necessitiamo di tempo per svolgere azioni e dobbiamo concederne a chi le svolge per noi, offrendoci un servizio.

È strano, o forse non lo è poi così tanto, che fino a qualche tempo fa si aspettassero settimane per ricevere una lettera, o si aspettasse un amico in piazza per un’ora guardandosi intorno senza guardare il telefono, perché se lui aveva avuto un contrattempo non poteva avvertirti; alle fermate degli autobus si scambiavano due parole con qualcuno probabilmente, invece di stare a testa bassa provando a riempire il tempo con dei video sui social che dopo un’ora ci siamo già scordati. Le attese, i momenti in cui non dover fare nulla se non aspettare, esistono per un motivo, come le attese nella letteratura o in un posto più umile come Zanzibar. Noi abbiamo perso questo motivo per strada insieme alla pazienza.

Probabilmente e auspicabilmente arriverà un giorno in cui per andare avanti dovremmo tornare indietro e allora, forse, l’attesa tornerà ad essere condizione normale, condizione propria dell’essenza e della natura dell’essere umano.

Matilde Lalli