È stata il primo giudice donna in Egitto e in pochi anni è arrivata a scalare i massimi livelli della magistratura del Paese arabo, fino a essere nominata vicepresidente della Corte costituzionale. Intervistata da ilsussidiario.net, il presidente del Meeting del Cairo, Tahani al-Jibaly, rivela come si è opposta all’adozione della Sharia, la legge islamica, come diritto dello Stato egiziano, pur riconoscendole un ruolo ed evitando così di creare un conflitto religioso nel Paese. «La religione ha molto da dire sulla vita, ma è sbagliato pretendere di conformare la vita di tutta la società ai dettami religiosi», sottolinea al-Jibaly.
E proprio a partire da questo presupposto la presidente del Meeting del Cairo sta interpretando il suo importante e delicato ruolo istituzionale. A partire dall’applicazione della Sharia, la legge islamica, che per al-Jibaly deve sottostare alle leggi dello Stato, e mai sovrapporsi a esse. Pur essendo tenuta in considerazione in quanto consuetudine del suo Paese. «La Sharia – spiega il magistrato – va presa per quanto di buono è in grado di offrire alla società. Finché è sinonimo di essere equi e giudicare in modo corretto, proteggere il corpo da tutto ciò che può danneggiarlo ed essere rispettosi delle persone, comportarsi in modo onesto con tutti, ritengo che la Sharia vada accolta come diritto consuetudinario. Ma sono contraria ad assumerla in toto come legge dello Stato. La Sharia può essere cioè una parte della legge, ma non sostituirsi a essa, e dove non aiuta a migliorare la vita della società è molto meglio rinunciare ad applicarla».
E lo stesso discorso vale anche per il rapporto tra religione e vita pubblica: «La religione autentica non deve spingere a ritirarsi dalla vita, ma ad affrontarla. Ma allo stesso tempo è sbagliato pretendere che l’intera vita sociale sia regolata automaticamente da dettami religiosi. Il ruolo della religione è più che altro quello di formare la coscienza delle persone: insegnare loro a fare il bene, amare il prossimo, compiere il loro lavoro in modo onesto». E nei confronti degli estremisti usa parole decise: «Dio ha creato tutti i popoli e le tribù perché si rispettino a vicenda, e non avremo nessun rispetto per chi non ha rispetto per gli altri. Dio è bello e ama la bellezza, a differenza di ciò che è privo di bellezza, e che quindi ama solo ciò che è brutto. Ma è giusto anche non nascondere la bruttezza politica, economica e sociale che sta affrontando il nostro Paese: la nostra patria stava per bruciarsi per un conflitto religioso di cui l’Egitto non è degno, e l’impegno di questi volontari è stata una risposta decisiva. Persone ortodosse, cattoliche, evangeliche, giovani studenti dell’Università del Cairo, musulmani e aderenti al movimento per la pace di Suzanne Mubarak, riuniti insieme per un’iniziativa comune».
Quello che emerge dalle parole di al-Jibaly inoltre è un grande orgoglio nazionale, il cui valore ha un significato esattamente opposto a quello degli estremisti islamici. E questo non soltanto perché l’Egitto esiste da 6mila anni, ben prima quindi della venuta di Maometto, ed è orgoglioso del suo passato. Ma anche perché «la tolleranza è un tratto distintivo del popolo egiziano, l’Egitto è sempre stato al crocevia tra popoli e nazioni, ha ospitato inglesi, turchi e persone provenienti da altre parti del mondo. Possiamo dialogare con qualsiasi popolo, anche perché le idee hanno ali e non aspettano il visto d’ingresso». E proprio per questo, l’Egitto può rivestire un ruolo tra le numerose nazioni musulmane: «Il ruolo storico dell’Egitto deve essere quello di mostrarsi più aperto mentalmente e meno rigido dal punto di vista religioso degli altri Paesi arabi. Siamo tutti contrari alle persone più chiuse mentalmente e che vogliono fomentare l’odio».
Al-Jibaly, per esempio, si dice «completamente a favore dei matrimoni tra persone di diverse religioni, come cristiani e musulmani. Non c’è nessuna ragione per vietarli». Un punto su cui va controcorrente rispetto all’opinione di una fetta numerosa di egiziani. E ammette: «Abbiamo molti problemi nel nostro Paese, sia di tipo economico che politico. E abbiamo bisogno di grandi soluzioni per risolvere questi problemi. Ma l’Egitto può fare molte cose per risollevarsi, e il Meeting del Cairo è una di queste». Interessante inoltre l’analisi del motivo per cui al-Jibaly ha deciso di ispirarsi al Meeting di Rimini: «Dall’aula magna dell’Università del Cairo, dove ci siamo incontrati giovedì sera, nel 2009 ha parlato il presidente Obama, per proporre una nuova fase del dialogo al posto dello scontro tra civiltà al fine di avvicinare tutti i popoli. Purtroppo però la politica e gli interessi economici hanno sopraffatto giustizia, libertà e rispetto dell’altro».
E si è chiesta al-Jibaly: «Perché il dialogo appare sconfitto malgrado gli sforzi e le intenzioni buone? Perché ci siamo concentrati solo sulle élites, lasciando che l’odio penetrasse nei cuori delle masse. L’umanità paga la dimenticanza di giustizia, uguaglianza e libertà. Al contrario, da 30 anni il Meeting di Rimini organizza un evento che abbiamo deciso di riproporre qui al Cairo. E la risposta sono questi giovani, che hanno deciso di venire qui come volontari».
(Pietro Vernizzi)